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L'unione sarda. I superstiti del sogno industriale

Viaggio tra capannoni chiusi e imprese insediate prima e dopo il contratto d'area

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Dal nostro inviato
Marilena Orunesu
OTTANA La Legler ora è un cancello sbarrato. Oltre c'è il capannone, senza operai. «Stiamo dismettendo i macchinari», spiega Franco Saba, unico dipendente superstite assieme ai tre addetti alla vigilanza. Lui è vice sindaco di Ottana. Qui lavorava pure il sindaco Giampaolo Marras che, però, non viene più come gli oltre 320 colleghi in cassa integrazione. Dopo l'asta, i primi telai sono finiti in Turchia. Le linee di produzione sono ancora qui, ma per poco. La società Adm, che si è aggiudicata la vendita, potrebbe portarle in Bangladesh, oppure in Etiopia o in Somalia, realtà dove la manodopera è quasi gratuita, le tutele sindacali sconosciute, quelle ambientali inesistenti. La Legler, approdata negli anni Novanta qui come a Macomer e Siniscola, è fabbrica simbolo del sogno industriale infranto nel centro Sardegna.
CONTRATTO D'AREA Più avanti i capannoni venuti su col contratto d'area. Lungo la strada scorrono tanti nomi: ex Metallurgica del Tirso, poi Cfm Sardegna. «Chiusa». Eurozing, nata col contratto d'area, funziona. «Questi sono i locali di Master Sarda, Agrival, Ildocat, Plasteco, Sistemia. Attività chiuse». Ogni nome una storia, finita male. In fondo alla strada un po' di animazione. “Sarda reti costruzioni” ha 12 addetti, un impianto di stoccaggio del gas che vende sfuso o in bombole, un mercato locale. Microstoria positiva del contratto d'area milionario. «Techma è chiusa». Funzionano Icr: infissi in pvc e legno; Isola Sarda fa coinbentazioni; Denti & C opera nell'agroalimentare. «Ibs è chiusa». Vicino “Antica fornace”, modello di eccellenza. «Ecco Prodex, il più grosso fallimento del contratto d'area».
PICCOLE IMPRESE «Le uniche realtà che vanno avanti sono le piccole attività sarde con 10-15 dipendenti, a parte “Antica fornace” che ne ha oltre cento. In questa valle di lacrime i sardi stanno portando a casa la pagnotta», sottolinea Saba. Lui non a caso affiderebbe il futuro industriale di Ottana ad attività di dimensioni simili, magari agganciate alle produzioni locali, artigianato compreso, che questo paese, sedotto dalla sicurezza delle buste paga, ha rimosso. A Ottana non c'è un forno che produca pane carasau , anche per il calzolaio bisogna cercare altrove. Oggi gli ultimi scampoli di speranza sono aggrappati agli interventi regionali per le aree di crisi: un pacchetto di oltre 50 milioni per Ottana, Pratosardo e Siniscola. «Ma la Regione è in forte ritardo, non è stato aperto neppure lo sportello. Tutto l'iter si sta allungando. Eppure è uno strumento essenziale per creare nuove attività, meglio se hanno qui la materia prima», sottolinea Saba. Errori da non ripetere? «Si lavorava il denim portando il cotone dal Pakistan o dalla Turchia. Invece Lorica lavorava la pelle sintetica, aveva un grande valore aggiunto».
ENICHEM Il percorso vira verso il cuore storico dell'industria. Sullo sfondo Cartonsarda. «Fallita». E la collinetta che delimita i pascoli dove venti giorni fa è arrivata la misteriosa nube nera. Ecco l'ex Equipolimers, ora Ottana Polimeri: fa capo al gruppo thailandese Indorama e a Paolo Clivati e produce pet per bottiglie. “Costirene” sforna pannelli di polistirolo. Ci sono aziende di manutenzione degli impianti, come Simme e Ommeipa, in difficoltà perché altre hanno preso il loro posto. Sotto le ciminiere Ottana Energia, la centrale di Clivati, nucleo forte dell'intero insediamento. A un passo i grandi locali dismessi di Montefibre. «Una società li ha acquistati, vuole riconvertirli per produzioni legate al riciclaggio delle materie plastiche. Potrebbero avere una nuova vita», dice Saba mentre un forte odore di acido inonda l'aria. Lorica sud: «Chiuso». Nel vicino capannone altre dismissioni in atto. Si arriva al “palazzo di vetro”, oggi quartier generale di Clivati, prima - ai tempi in cui la mensa ospitava duemila persone - sede di Enichem con 200 impiegati.
INQUINAMENTO Oltre i capannoni accerchiati dalle erbacce e dall'abbandono resta un'inquietudine diffusa, sebbene non sorretta da dati ufficiali. «Non si sa se c'è un sistema di controllo e di monitoraggio, non si sa cosa registrano le centraline sistemate dalla Provincia», sottolinea Mario Denti, in prima linea negli anni passati per dire no al termovalorizzatore a Ottana nel nome della tutela dell'ambiente e della salute. «Dal 1985 Ottana è classificato come sito ad alto rischio ambientale, soggetto alla direttiva Seveso 2: prevede per aziende e amministrazioni pubbliche l'obbligo di informare i cittadini in caso di incidente rilevante. Come comportarci in queste emergenze non ci è mai stato detto».

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