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L'unione sarda. «Una paga da fame»

OTTANA. I servi pastore al processo accusano due datori di lavoro

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Tour de force ieri al Tribunale di Nuoro, per la prima udienza della storia giudiziaria italiana concelebrata in videoconferenza dalle corti di Stati diversi. In sinergia l'Assise Nuoro e la Corte d'appello del distretto di Tirgu Mures in Romania, in un'osmosi dibattimentale di oltre otto ore tra il palazzo di giustizia del capoluogo barbaricino e l'omologo straniero. Il processo è quello a carico di due allevatori di Ottana, Antonio e Pietrino Dettori, 81 e 49 anni (padre e figlio), accusati di aver ridotto in schiavitù Liviu Ganga, 23 anni, il coetaneo Marian Cullan, e la moglie 21enne di quest'ultimo Maria Adela Punca, 21, tutti di nazionalità rumena, che tra il 2009 e il 2010 avevano lavorato per loro come servi pastori.
TENTATA VIOLENZA Delicata la posizione dell'anziano su cui pende anche un'accusa di tentata violenza sessuale ai danni della ragazza: «Un giorno mi ha intimato di spogliarmi minacciandomi con il coltello. Sono scappata negli stalli dei maiali, mi ha inseguito e mi ha detto che se avessi raccontato quanto accaduto a Marian, Liviu o Pietrino mi avrebbe ucciso».
Davanti alla corte d'Assise (presidente Antonio Luigi Demuro, a latere Mauro Pusceddu), ieri hanno deposto attraverso un monitor - con l'ausilio dell'interprete, Alexandra Paulescu - due delle parti offese: Cullan e Maria Adela Punca. Non compare Ganga perché in Germania per lavoro. Presenti in aula gli imputati, difesi dagli avvocati Mario e Francesco Lai.
L'ACCUSA Incalzato dalle domande del sostituto procuratore Guido Pani della Dda di Cagliari, Cullan riconferma le accuse messe nero su bianco nella denuncia fatta ai carabinieri il 18 maggio del 2010: «Sono giunto in Sardegna per lavorare nell'ovile di Pietrino e Antonio Dettori, una prima volta ad agosto 2009 e una seconda a novembre in compagnia di Maria Adela. Ci aveva incoraggiato Liviu che c'era già da mesi». Insiste nel ribadire che lui e i suoi compagni sono stati trattati come schiavi: «Iniziavamo alle 4 del mattino», rimarca, «mungevamo due volte al giorno e poi continuavamo fino a mezzanotte e a volte l'una spietrando il terreno alla luce del trattore».
LA DIFESA Racconto contestato dai difensori che sostengono come in realtà Pietrino li svegliasse ogni mattina alle 5,30 con uno squillo: «È quanto risulta anche dai tabulati telefonici di quella mattina in cui, ignaro del fatto che dalla notte si trovavano in caserma per denunciare una riduzione in schiavitù. Ci facevano la ricarica del cellulare, questo sì, Pietrino telefonò come era abituato a fare». Gli avvocati insistono: «Dal verbale di sommarie informazioni risulterebbe che terminassero alle 21 massimo le 22».
IL CIBO Il pm prima e la difesa poi chiedono a Cullan se siano stati pagati e cosa sapevano delle condizioni che li aspettavano prima di arrivare: «I patti erano che avremmo ricevuto 500 euro al mese più vitto e alloggio», dice, «ma in sette mesi non abbiamo visto nulla, anzi no 300 euro da agosto a novembre, poi dopo 100 e altri 100 li hanno spediti a casa. Ma niente contanti, se no avremmo avuto il denaro per scappare. Da mangiare ci davano solo pasta. Ci facevano la ricarica del cellulare, questo sì. Acquistavano detersivi, shampoo, lamette e lo mettevano in conto stipendio ma nulla più».
Francesca Gungui

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