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L'unione sarda. «Pronti per un rapimento»

Il gruppo voleva prelevare il commerciante oristanese Luigi Russo: furono compiuti alcuni sopralluoghi nella casa della vittima designata

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Dal nostro inviato
NUORO Non solo droga. Graziano Mesina non ha mai dimenticato da dove è partito: i sequestri di persona a scopo di estorsione.
Il particolare rende la vicenda ancora più inquietante perché si tratta di un detenuto che meno di dieci anni fa ha ottenuto la grazia dal Capo dello Stato ed emerge dall'ordinanza di custodia cautelare. Nelle ultime pagine il gip Giorgio Altieri si sofferma su alcune annotazioni della polizia giudiziaria: «Dimostrano con chiarezza che, per diversi mesi, tra la fine del 2009 e tutto il 2010, Mesina e i suoi complici, in particolare Piras che aveva individuato la potenziale vittima, e Crissantu, programmarono un rapimento ai danni di Luigi Russo, un noto imprenditore di Oristano. Il gruppo compì una serie di atti preparatori: tra questi almeno due sopralluoghi nell'abitazione della vittima designata».
Il primo, il 19 febbraio 2010, venne fatto da Mesina e Piras. Non immaginavano i due che i carabinieri li stavano intercettando mentre commentavano i sistemi di difesa dell'abitazione, il modo più sicuro per prelevare l'ostaggio, le strategie da utilizzare durante la gestione del sequestro. Il secondo sopralluogo fu invece compiuto da Piras e Crissantu.
Due anni dopo Mesina fu intercettato a Sassari: era il 12 aprile 2012 quando il bandito orgolese prospettò a Filindeu la possibilità di portar via la moglie e i figli di un uomo mai identificato per costringerlo ad andare in banca a ritirare il contenuto di una cassetta di sicurezza.
Mesina era un capo indiscusso all'interno della sua banda: lo chiamavano lo zio e gli davano del voi. E non si trattava, scrive il gip, di un «mero omaggio formale a un uomo che si vantava della propria fama e delle occasioni che essa gli procurava, ma del riconoscimento di un ascendente che derivava da capacità criminali superiori, concretamente dimostrate in ripetute occasioni. Consapevole dell'immagine pubblica costruita dai suoi tanti agiografi, Mesina cercava di dare costantemente, attraverso il racconto delle proprie imprese criminali, un'immagine di sé che destava ammirazione e rispetto e che gli consentiva di mantenere il primato». Così, nel commentare il mancato pagamento di partite di droga, affermava che «non si sarebbe mai fatto fare un affronto del genere e raccontava episodi nei quali la sua reazione decisa gli aveva consentito di recuperare violentemente i propri crediti».
Come non bastasse Mesina parlava di sé come un uomo di antichi principi tanto da commentare negativamente il lassismo delle forze di polizia nel controllo sui giovani che facevano uso di droga: «Notazione quasi incredibile da parte di una persona che da anni trafficava droga ma che diventa pienamente logica nel contesto descritto».
Il giudice si sofferma su un episodio in particolare: quando la banda progettava di importare cocaina dal Sud America, Francesco Piras e Raimondo Crissantu erano contrari al fatto che Mesina si esponesse personalmente ( voi siete noto ovunque, se vi vedono girando... ). Mesina contava, però, di giustificare quei viaggi con visite a un amico, il fotografo Antonello Zappadu, che si era trasferito in Colombia. E quelli, ammirati, commentarono che il loro capo non aveva certo paura ad andare di persona a trattare da pari a pari coi boss latino-americani.
Erano sempre pronti all'azione gli uomini di Mesina e questo, secondo il gip che ha firmato gli arresti, «si giustifica con il carisma che l'orgolese esercitava sulla sua banda». Anche perché il bandito stipendiava generosamente i suoi principali collaboratori. La particolarità sta nel fatto che Mesina non presentava quei pagamenti come una retribuzione, quindi come l'adempimento di un debito, ma come una munifica concessione.
M. F. Ch.

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