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L'unione sarda. L'avvocato al servizio del clan

L'arresto di 20 anni fa e le accuse al giudice Lombardini

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La perquisizione è durata sette ore e mezza: dalle 10 alle 17,30. Prima nella sua casa, una villetta a Quartu, zona Margine Rosso, poi nello studio annesso. Lui ha assistito alle operazioni senza mai perdere la calma, quasi rassegnato. Polo rossa e pantaloni blu, l'avvocato Corrado Altea, 63 anni, originario di Arbus, tornato in Sardegna agli inizi degli anni Novanta da Milano dove aveva fatto fortuna difendendo i boss della 'ndrangheta emigrati in Lombardia, ha chiacchierato tranquillamente coi carabinieri e il pm titolare dell'inchiesta Gilberto Ganassi, che ha voluto presenziare personalmente al controllo, a cui ha preso parte come impone la legge anche un delegato del consiglio dell'ordine forense. «Molto collaborativo», lo descrive chi era presente.
L'ARRESTO DI 20 ANNI FA Non ce l'ha fatta però a non rievocare il passato, forse nella speranza che anche stavolta finisca come allora. A non ricordare cioè di quando - nel lontano 13 gennaio del 1993 - fu arrestato in viale Diaz a Cagliari dopo una soffiata che consentì alla polizia di trovare 30 grammi di cocaina nel cofano della sua Fiat Tipo. «Sapete, quella volta mi hanno assolto in tutti i gradi di giudizio - ha detto agli uomini in divisa -, è venuto fuori che quella droga me l'avevano messa per incastrarmi dopo aver forzato il cofano». Una storia torbida, torbidissima, nella quale spuntò fuori anche il nome di Luigi Lombardini, allora potentissimo giudice antisequestri, che Altea, qualche mese prima del suo arresto per droga, aveva accusato in un esposto di aver usato metodi illegali in un'indagine legata a prestiti milionari, usura e frequentazioni pericolose. E che riletta oggi, forse, assume contorni ancora più indecifrabili e misteriosi.
LE NUOVE ACCUSE In quelle sette ore e mezza il legale non ha invece detto neanche una parola sulle nuove accuse che gli vengono mosse e che, a distanza di 20 anni, lo hanno riportato a Buoncammino. Contestazioni a dir poco devastanti, visto che i magistrati della Dda gli attribuiscono un ruolo strategico e fondamentale nel traffico di droga sull'asse Calabria-Milano-Sardegna organizzato dalla banda capeggiata dal suo cliente Gigino Milia, 67 anni da Fluminimaggiore, coinvolto negli anni Settanta anche in un sequestro di persona. Una gang legata a doppio filo con il clan degli orgolesi che aveva come leader Graziano Mesina, amico di vecchia data di Gigino.
«PICCIOTTO» Un rapporto, quello tra Altea e Milia, che secondo le accuse andava ben al di là di quello professionale. «L'avvocato - scrive il Gip Giorgio Altieri nell'ordinanza - di volta in volta si prestò, strumentalizzando la propria professione, a svolgere, su ordini di Milia, incarichi di corriere (trasporto del denaro necessario per il pagamento degli stupefacenti), di raccordo con altri membri dell'organizzazione (incontri con i calabresi, i quali furono da lui prontamente informati della scoperta delle microspie nell'autovettura di Milia), di partecipe alla trattativa per la ricerca di nuovi canali di fornitura». Più “picciotto” che avvocato, insomma. Come dimostrerebbe quanto accaduto quando Altea prese la difesa di Antonello Mascia, custode della droga per conto di Milia.
LE VISITE IN CARCERE È il 22 ottobre 2009 e Mascia viene arrestato perché deve scontare una vecchia condanna. Solo lui sa dove è nascosta parte degli 11 chili di eroina che Milia deve restituire al suo fornitore albanese Lukaj perché la sostanza si è rivelata scadente. Così, d'accordo con Milia, il detenuto nomina l'avvocato Altea, che sarebbe andato a trovarlo a Buoncammino solo per riuscire a recuperare lo stupefacente. «Quest'ultima vicenda - spiega il Gip - è particolarmente significativa, perché l'avvocato Altea si recò in carcere per tre volte, non certo per necessità difensive, ma per obbedire a precise direttive di Milia, il quale lo accompagnò fisicamente in viale Buoncammino per farsi rivelare, all'uscita dalla Casa circondariale, il nascondiglio della droga; condotta che è fortemente indicativa dell'accettazione di un ruolo subordinato, e quindi di una gerarchia».
NUOVI CONTATTI Ma l'attività di Altea agli ordini di Milia emergerebbe anche da un'altra miriade di episodi. Nel maggio del 2009, ad esempio, l'avvocato si sarebbe recato di persona a Milano per portare al fornitore albanese e agli intermediari calabresi i soldi per 10 chili di eroina acquistati dal duo Milia-Mesina. E quando il suo potente cliente ruppe i rapporti d'affari con Grazianeddu, si sarebbe attivato per trovare nuovi canali di approvvigionamento, mettendo in contatto Gigino Milia con Cristian Mancosu, che pare avesse legami con i narcos colombiani e boliviani, e Renato Sansò, vicino al potentissimo clan calabrese dei Morabito. I due erano suoi clienti, ma «Altea - dice il Gip - non era comunque in grado di assumere decisioni autonome, sempre riservate alla competenza esclusiva di Milia».
Massimo Ledda

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