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L'unione sarda. Ecco dove riposano i falsi miti, le voci del silenzio in camposanto

Un secolo di sangue e banditismo raccontato attraverso le lapidi

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Dal nostro inviato
Piera Serusi
ORGOSOLO E adesso che, come gli italiani tutti, hanno fatto il pieno di dettagli, aneddoti, frasi estrapolate dalle intercettazioni dell'ultimo romanzo criminale di Graziano, gli orgolesi se possibile stanno ancora più zitti dell'altro ieri. I vecchi che si crogiolano come lucertole al sole nella panchina di piazza Caduti, avvisano che no, non hanno letto i giornali né visto la televisione. In mezzo a un'orda di turisti che sciama lungo il corso Repubblica, i ragazzi appollaiati su un muretto spiegano che gli dispiace, ma non c'è da dire nulla. E mentre le massaie passano oltre al solo accenno di questa storia qua, la sorridente signorina che in un bar del centro serve cappuccini ai tedeschi e mezze birre agli avventori muti seduti ai tavolini, si sbilancia, ma appena appena. «Traffico di droga in paese? E quando mai. Aspettiamo e vedremo. Sa che le dico? Che di questa storia stanno facendo una cosa gigantesca solo perché di mezzo è passato Graziano Mesina. E adesso il nome di Orgosolo è di nuovo sulla bocca di tutti...».
L'IMMAGINE A occhio lo sarà pure nei prossimi giorni. È da lunedì scorso che il sindaco Dionigi Deledda fronteggia valorosamente in Municipio l'assalto dei cronisti. «E che cosa devo dire, se non difendere l'immagine del mio paese?». Ricorda ancora che questa è la parrocchia che ha donato alla Chiesa undici sacerdoti («undici in attività eh?, per non contare i morti»); e che è di qui il ragazzino più veloce d'Italia che ha stracciato tutti ai campionati studenteschi nazionali. E che Orgosolo ha la sua veneratissima Beata Antonia Mesina. «Lo so che questa storia non è una pubblicità positiva. Ma voglio dirvi una cosa: io non faccio né il giudice, né il poliziotto. Faccio il sindaco di un paese che ha tante cose positive e che non può essere bollato ancora come la terra dei banditi».
UN SECOLO DI STORIA La terra del sangue versato è il mondo dei morti, confinato dentro le mura del cimitero che sorge tra le due chiese di San Pietro e Santa Croce. C'è più di un secolo di storia del paese, in questo luogo. Le faide, i conflitti a fuoco, il sacrificio di un'adolescente che difende la sua purezza, l'orrore dell'omicidio di un sacerdote, l'inaudito sfregio della vita e delle parole di un poeta. Sono tutte qui dentro, le anime del mito di Orgosolo. Le anime dei buoni e quelle dei cattivi, delle vittime e dei banditi - e chissà quanto queste distinzioni valgono al cospetto di Dio.
LA LAPIDE SCOMPARSA «La tomba di Pasquale Tandeddu?». Francesco Filindeu, 32 anni, dal 2001 è il becchino del paese. Un mestiere come un altro, avverte con un sorriso che è un inno alla vita. «Cerca la tomba di Pasquale Tandeddu?», ripete con stupore, mentre raccoglie alcune foglie secche. Beh, sì, sa di chi stiamo parlando. Il bandito soprannominato “Terrore della Barbagia”, quello che era stato ucciso nel 1954. «Ecco, un tempo la lapide era lì», dice indicando una cornice scura disegnata sul muro nudo in mezzo ad altre tavole funerarie, tutte di marmo grigio, tutte indicanti la data di morte del 1953. «Vero, le altre sono più vecchie. Ma quella di Tandeddu dev'essere caduta, magari per via del tempo e delle intemperie - ipotizza Francesco -. Io, comunque, non l'ho mai notata. Cioè, non è che so quali sono le tombe dei banditi. Non mi interessa, e le assicuro che non interessa a molti dei miei coetanei. I banditi riposano qui, punto e basta». È dentro queste mura benedette che dovrebbe riposare per sempre, il mito di Orgosolo. E invece, succede ancora che i fantasmi tornino ad aleggiare, come sta accadendo in questi giorni dopo che il faccione di Graziano Mesina è ricomparso negli strilli dei telegiornali nazionali e sulle prime pagine di tutti i quotidiani. Lo spettro dell'imprendibile primula rossa è tornato a riprendersi ciò che restava della leggenda di un bandito. E con Mesina di nuovo dietro le sbarre, Orgosolo - o meglio, il mito di Orgosolo - torna di nuovo sulla bocca di tutti.
CORSI E RICORSI Ora il nome è quello di Graziano. Negli anni Cinquanta era quello di Tandeddu. Agli inizi del Novecento - quando la saga è iniziata - erano i clan della disamistade , da una parte i Corraine (con tutti i parenti), dall'altra i Cossu che si fecero la guerra per l'eredità dello zio Diego Moro, un patrimonio di ben 250 mila lire, più tutta la lussuosa mobilia e un forziere pieno d'oro. Il vecchio, volato in cielo a 90 anni il 10 giugno del 1903, osserva questa valle di lacrime da una fotografia scolorita appesa sulla gigantesca tomba di marmo bianco che ospita pure Andrea Cossu Corraine, ammazzato il 27 febbraio del 1910 dalla fazione nemica. Gli altri inquilini sono Giovanna Moro Corraine, spirata il 21 luglio 1917, mamma del sacerdote Diego Cossu, rettore parrocchiale e sanguinario boss volato in cielo nel 1918, che dorme il sonno eterno nel posto caposchiera. Comandava da vivo, evidentemente ha voluto comandare pure da morto.
GLI EROI «La tomba di chi?». Francesco Filindeu afferra il rastrello e fa per salutare. «Io dico che bisogna ricordare solo le figure positive - avverte -. Sa quanti eroi riposano qui?». All'ingresso del cimitero, a pochi metri dai fantasmi della faida, dorme Antonia Mesina, la Maria Goretti della Barbagia, martire ragazzina che il 17 maggio del 1935 venne assassinata da un compaesano con settantaquattro colpi di pietra. Aveva sedici anni e morì per difendere la sua verginità. La tomba è un altare ricoperto di centinaia di rosari, ex voto dei pellegrini. Pochi passi e si vede la lapide che ricorda don Graziano Muntoni (sepolto a Fonni), il viceparroco assassinato alla vigilia di Natale del 1998. E poi il candido cippo dove riposa il poeta Peppino Marotto, ucciso il 29 dicembre del 2007. Niente madonne e niente santi. Dorme sotto le punte di una stella.

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