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L'unione sarda. Le ciminiere dell'agroalimentare

FONNI. Due aziende integrate sfidano la crisi e i problemi creati dalla peste suina africana

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Trentuno posti di lavoro tra salumificio e caseificio, dieci milioni di fatturato globale, di cui sei ricavati da prosciutti e salsicce. Sono i numeri delle Fattorie Gennargentu : «L'agroalimentare è l'unica ciminiera fumante. A Fonni il settore - patate, pane e biscotti compresi - ha in proporzione la stessa importanza della Fiat a Torino», dice Daniela Falconi, 35 anni, che in azienda si occupa degli insaccati mentre il marito Massimiliano Meloni, 40 anni, cura la trasformazione del latte nell'impianto costruito nell'altopiano di Pratobello.
ORGOGLIO FEMMINILE «Salumaia mamma di due figli», replica l'imprenditrice a chi prova a cucirgli addosso l'etichetta di Marcegaglia della Barbagia, abbinando l'abilità imprenditoriale al sostegno ricevuto dal padre Bachisio Falconi, ex consigliere regionale e albergatore di successo. Esperienza diretta, a casa e in bottega, di quanto ambiente, turismo e agroalimentare siano strettamente legati. «A fine estate - dice Daniela Falconi - registriamo un impennata degli ordini dalla Penisola. Questo vuol dire che il turista rientra a casa con una nostalgica voglia di Sardegna e va alla ricerca dei nostri prodotti: non sempre riusciamo a cogliere questa opportunità». Proprio puntando sulle esportazioni, le Fattorie Gennargentu sono riuscite a imbrigliare la crisi. Sperimentando l'importanza della rete, con l'abbinamento tra prosciutti (30 per cento della produzione venduta fuori dall'Isola) e il formaggio (7 per cento) che, oltre a ridurre i costi, sfrutta e rafforzare il Sardinia brand .
FRODI E ABUSIVISMO Immagine a rischio-sfregio, anche se le recenti polemiche sulle frodi non hanno sfiorato il Gennargentu dove semmai il pericolo è nascosto nella zona grigia della produzione familiare o spacciata per tale. «Solo se sbagli la quantità di sale nelle salsicce, oggi ti ritrovi massacrato sui socialnetwork», sottolinea Daniela Falconi per dire che dopo gli investimenti per imporre e difendere un marchio, il produttore che consapevolmente rifila al cliente insaccati di maiale come cinghiale o il formaggio di vacca come pecorino meriterebbe un'attenuante da perizia pschiatrica. Piuttosto, ed è questo il vero problema, resta l'impossibilità di proporre un marchio geografico: «Sogniamo di poter vendere magari col nome Gennargentu - precisa l'imprenditrice di Fonni spiegando perché presenta le sue offerte come Sapori di Barbagia - ma purtroppo finché c'è la peste suina questo non è possibile perché non possiamo usare carni locali certificate e l'incertezza normativa rischia di bruciare nome e investimento».
MALEDETTA AFRICANA Qualcosa si sta muovendo sulla possibilità di valorizzare i maiali nostrani. «Ma dobbiamo risolvere il problema alla radice, non possiamo vivere con l'incubo che un commissario europeo vieti da un giorno all'altro la produzione». Dopo 35 anni l'Ue ha perso la pazienza, decisa a impedire che il virus incubato negli insaccati, salti il mare e si svegli in qualsiasi parte del Vecchio Continente. «Dobbiamo affrontare la peste suina come un problema sociale», dice Daniela Falconi: «Vorrei partecipare a tutte le assemblee degli allevatori per dire che solo noi importiamo 250 capi a settimana. Acquistando dai nostri allevatori, raddoppieremo almeno i posti di lavoro o, comunque, integreremo il reddito dei pastori che, come vediamo in caseificio, è mediamente di ventimila euro».
OLTRE L'OVILE La vera sconfitta però è la classe politica. «In 13 anni di attività - scandisce le parole Daniela Falconi - noi abbiamo lavorato la carne di ventimila maiali e in questo stesso periodo per colpa della peste suina africana ne sono stati abbattuti 15 mila. Un problema apparentemente piccolo nei numeri-base, ma devastante su tutta la filiera e il suo indotto. «Purtroppo si continua ad affrontare l'Africana come un problema sanitario, ignorando la sua reale dimensione sociale. Un atteggiamento - allarga il discorso l'imprenditrice di Fonni - radicato in un humus negativo generale perché in realtà non si riconosce il valore delle imprese e nelle zone interne si trascura appunto, il valore sociale. Al di là delle parole, si crede pochissimo in noi giovani imprenditori locali, mentre siamo pronti a fare ponti d'oro a qualsiasi forestiero, come dimostra la storia dei fallimenti industriali». Ragionamento rafforzato dai numeri del caseificio dove all'anno si lavorano tre milioni e mezzo di litri di latte prodotti, provenienti, tra l'altro, dalle aziende di Fonni, Mamoiada, Orgosolo, Orani, Tiana e Austis dove le Fattorie Gennargentu sperano un giorno di acquistare anche i suini.
Michele Tatti

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