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L'unione sarda. La trilogia degli ex banditi

Marini sul palcoscenico, Atzas e Stochino sono spettatori

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NUORO Nel cortile di Badu' e Carros non c'è la calura e nemmeno la polvere, ma Salvatore Atzas, detenuto a cinquanta chilometri dal santuario di San Costantino della sua Sedilo, la bandiera del santo guerriero la vede ugualmente sventolare. La febbre dell'Ardia è contagiosa, oltrepassa le mura di un carcere, e a poco più di una settimana dalla corsa fa volare con la fantasia in quel catino arroventato Salvatore Atzas. Sessantacinque anni, di Sedilo, quell'evento lo ha vissuto da protagonista nel 2004, quando il parroco del paese don Agostino Carboni gli affidò il prestigioso ruolo di capocorsa. Dagli altari alla polvere. Ora Atzas è in carcere per il sequestro del proprietario terriero di Bonorva Titti Pinna. Sconta una condanna a trent'anni (confermata in Appello) e parla della festa. «Mi auguro che sia una bella corsa e che tutto proceda bene senza incidenti», dice. «Il capocorsa, Giuseppe Carboni, che a Sedilo è chiamato Cinque, è un bravissimo cavaliere, così come lo è suo fratello Michele. Speriamo che vada nel verso giusto. È la cosa più importante». Parole dette in piedi mentre applaude, assieme a Pasquale Stochino, 79 anni, l'anziano ex latitante (alla macchia per 33 anni) di Arzana, i suoi compagni detenuti della sezione S3, quella dell'alta vigilanza, protagonisti assoluti di uno spettacolo teatrale che ha davvero colto nel segno. «Sono stati bravissimi. Bravi tutti e bravo Antonio Marini (di Orgosolo, in carcere per il sequestro di Silvia Melis, ndr )», sottolinea Stochino, spettatore divertito, seduto accanto ad Atzas. Non sta bene la primula rossa di Arzana, condannato per la strage di Lanusei, il tentativo di sequestro sfociato nel sangue del medico Vincenzo Loddo. Il peso degli anni e una salute non più quella di un tempo gli procura qualche preoccupazione.
SPETTATORI Stochino e Atzas sono solo due dei trenta spettatori che hanno assistito alla “prima” della compagnia mista, composta da una decina di detenuti dell'alta sicurezza e altri attori civili (Grazia e Gabriella Musu, Monica Manzoni, Pietrina Siotto e Francesca Verachi). Tutti guidati per sei mesi da Pietro Era, regista e operatore di strada dell'assessorato ai Servizi sociali del Comune di Nuoro, che da gennaio con un lavoro certosino, meticoloso ma molto gratificante è riuscito a vincere una scommessa importante. Far sentire vive queste persone, confinate per i loro errori nella dura condizione della detenzione, grazie alla forza del teatro. A volte le arti possono fare dei piccoli grandi miracoli. Scoprire una nuova energia e la voglia di mettersi in gioco per sconfiggere vecchie paure e trovare in se stessi risorse che non si conoscevano.
IN SCENA Antonio Marini, figlio di Grazia Marine, è l'unica voce sarda sul palco a portare in scena la trilogia del consenso di Harold Pinter. L'orgolese recita a piedi nudi indossando maglia e pantaloni scuri. Dalle sue parole emerge forte la speranza di riacquistare il prima possibile la libertà. Intanto, trova un rifugio nella poesia, nella lettura e ora nel teatro con la possibilità di far parte della compagnia permanente fondata dal regista Pietro Era che si chiamerà Nuova Iovia. «Nutro speranza e questo sentimento mi dà la forza per andare avanti. E poi leggo molto. Un esercizio mentale che mi aiuta tantissimo. Sto scoprendo la passione per il teatro apprezzando i classici, ma non solo. Questa rappresentazione che ho portato in scena con gli altri mi ha consentito di recitare in sardo. È la nostra lingua che occorre tutelare e valorizzare. Purtroppo non è stato sempre così. Anche a scuola, ricordo, non sempre veniva vista di buon occhio dagli insegnanti». In carcere Pietro Era confida di aver scoperto dei talenti fantastici e non si dimentica di ringraziare la direttrice Carla Ciavarella, l'intera area educativa del penitenziario e gli agenti «per la grande disponibilità e pazienza. Con i detenuti da gennaio abbiamo lavorato per tre giorni alla settimana», racconta il regista, «è stato un percorso non facile per tutti. Occorreva conoscersi, farsi accettare ed entrare in sintonia». Commuovente il finale con gli applausi e gli incitamenti che arrivavo non solo da chi ha assistito a pochi metri all'evento ma anche dalle celle vicine. «È stato davvero emozionante, segno evidente che si può costruire qualcosa di importante», ha commentato mentre guadagnava l'uscita Adriana Carta, magistrato di sorveglianza sempre presente ai vari appuntamenti di apertura al territorio ospitati nell'ex carcere di massima sicurezza.
Luca Urgu

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