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L'unione sarda. Scarcerazione, la banda Mesina ieri al Riesame

Decisione entro lunedì

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Il primo è stato l'avvocato quartese Corrado Altea, l'unico che aveva risposto all'interrogatorio di garanzia davanti al Gip nella speranza di ottenere qualche beneficio. Poi è toccato agli altri: il boss cagliaritano di Sant'Elia Guido Brignone, gli orgolesi Raimondo Crissantu, Giovanni Filindeu e Giuseppe Mesina e i fratelli di Nurri Franco e Raffaele Pinna.
Primo appuntamento coi giudici del Riesame ieri mattina a Cagliari per una parte degli indagati nella maxi inchiesta sulle bande di trafficanti di droga capeggiate da Graziano Mesina e dal suo amico di vecchia data Gigino Milia. I difensori - Gianluca Aste per Crissantu, Beatrice Goddi per Filindeu, Federica Maccedda per Brignone Herika Dessì per i Pinna, Daniele Condemi per Altea e Antonio Secci per Giuseppe Mesina - hanno tutti chiesto al Tribunale la revoca della misura cautelare, mentre il pubblico ministero titolare del fascicolo ne ha sollecitato la conferma. La decisione arriverà entro lunedì.
Intanto, chiuso il troncone relativo alle indagini sul traffico di stupefacenti sulla rotta Calabria-Milano-Sardegna, i carabinieri di Nuoro e la Dda di Cagliari stanno lavorano in gran segreto agli altri filoni di un'inchiesta che sembra promettere nuovi clamorosi sviluppi. In particolare si sta approfondendo la tranche relativa agli altri affari che sarebbero stati gestiti dalla gang messa in piedi dall'ex primula rossa del Supramonte, che secondo quanto emerso dalle intercettazioni progettava anche sequestri di persona. Una traccia importante è stata trovata durante la perquisizione nella casa in cui Mesina viveva insieme alla sorella: in una valigetta c'erano una mappa e la foto del titolare di una società di vigilanza sassarese che, secondo gli inquirenti, era nel mirino della banda dell'ex ergastolano orgolese. Ma le indagini continuano anche su un altro versante, quello dell'attività di mediazione che Mesina avrebbe svolto sui 500 ettari a Capo Ceraso, a Olbia, acquistati da una società del gruppo Finivest dopo il pagamento di 700mila euro a un pastore, Paolo Murgia, che ne rivendicava la proprietà per usucapione.

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