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L'unione sarda. Bambino ucciso L'investitore: non sono fuggito

OROTELLI. Tribunale

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NUORO Respinge l'accusa di essere fuggito via abbandonando al proprio destino il bambino agonizzante. Chiede di rilasciare dichiarazioni spontanee e racconta la sua verità, Antonello Pittalis, 35 anni, il motociclista di Orotelli a processo per la morte Francesco Pira, il bimbo di quattro anni che il 6 giugno del 2010 fu travolto e ucciso dal centauro mentre camminava preso per mano da suo padre. Secondo la pubblica accusa Pittalis dopo l'impatto sarebbe scappato via in preda al panico: «Non è vero», ribatte il giovane davanti al giudice monocratico Mariano Arca del tribunale di Nuoro, «non mi sono dileguato, anzi, ho messo i piedi per terra e mi sono fermato».
DICHIARAZIONI SPONTANEE Chiaramente turbato mentre ripercorre la tragedia che tre anni fa sconvolse Orotelli, l'imputato ha gli occhi lucidi e le mani tremanti nell'aula del palazzo di giustizia barbaricino. Risponde alle domande del suo difensore, l'avvocato Gian Marco Mura: «Tutto è accaduto nel giro di pochi istanti», dice, «stavo percorrendo corso Vittorio Emanuele quando mi sono visto sbucare all'improvviso dalle auto parcheggiate alla mia sinistra quel bambino. Non andavo tanto veloce, 30-35 chilometri orari. Non mi sono reso conto subito di quanto accaduto finché avevo il casco addosso. Appena l'ho tolto ho capito».
VERSIONI CONTRASTANTI Nella scorsa udienza Giuseppe De Rosa, lo zio della vittima (appuntato scelto dei carabinieri in servizio a Bono) aveva dichiarato che la moto di Pittalis aveva fermato la propria corsa solo in seguito all'impatto e che l'imputato era andato via urlando. «Le cose non stanno così», replica Pittalis, «proprio De Rosa mi ha chiesto di salire in auto con lui che stava andando a cercare la guardia medica, ed è stato per seguirlo che mi sono allontanato dal luogo dell'incidente. Per strada abbiamo incontrato mio fratello che nel frattempo si era già recato a chiamare il dottore e infatti erano insieme. Lo stesso De Rosa mi ha poi detto che lì non ci facevo niente e mi hanno accompagnato a casa di mio cognato». Il 31 ottobre discussione e sentenza.
Francesca Gungui

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