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L'unione sarda. «Negli anni '70 le vigne erano il triplo»

L'INTERVISTA. Gigi Picciau, decano degli enologi sardi, ripercorre i cambiamenti del mercato nell'Isola

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Il vino sardo è migliorato in qualità ma le quantità sono calate progressivamente negli anni. Gigi Picciau, decano degli enologi sardi ed ex presidente di Confagricoltura, ripercorre le tappe che hanno portato alla situazione attuale. «Ormai di espianti di vigne non se ne parla più», dice, ricordando che negli anni Settanta i vigneti in Sardegna erano circa il triplo degli attuali 28mila ettari. «Oggi due terzi del vino che consumiamo lo importiamo», aggiunge.
Ma come? Il vino sardo non si esporta in tutto il mondo?
«Questo è vero, ma produciamo ed esportiamo vino di buona qualità mentre importiamo vini comuni. E guai se non fosse così».
Negli anni Settanta il rapporto era invertito.
«Esattamente. La Sardegna ha esportato per anni vino sfuso in Francia, dove veniva utilizzato per dare corpo alle loro bottiglie, e nel Lazio, usato come prodotto da taglio. Oggi, i nostri vini da tavola più ordinari hanno un costo elevato e quindi vengono poco utilizzati per scopi di questo genere».
Come mai la produzione in Sardegna si è ridotta così tanto: colpa dei contributi per l'espianto?
«Tra gli anni Settanta e Ottanta, solo a Dolianova e Monserrato si otteneva quello che oggi viene prodotto, come quantità, in tutta l'Isola. Solo che si faticava sul mercato, i ricavi non aumentavano e così qualcuno ha pensato bene di prendere i contributi per estirpare le viti».
Oggi le cantine producono per imbottigliare, non più per il vino sfuso.
«Negli anni Ottanta si è iniziato a impiantare vitigni doc, cambiare la produzione. La qualità è migliorata con tecnica impiantistica e si è ridotta l'attività della cooperazione, che prendeva contributi per raccogliere ettolitri su ettolitri da vendere sfusi anche per la distillazione. Ora, tutto questo è venuto meno e così è cambiata l'attività in Sardegna».
Sono arrivati i disciplinari di produzione e nuove cantine.
«Le aziende sarde hanno iniziato a vivere di luce propria. Anche se non è che oggi si fatichi meno a vendere il vino».
All'estero però è apprezzato.
«Ma forse non si fa ancora abbastanza. Il mercato del vino è difficile e spesso la politica pensa di avere la chiave per dominarlo, mentre non ci riescono neanche gli operatori. Per giunta non si può pensare di vendere un vino solo perché è sardo. Oggi anche il Cile e la California producono ottimi vini, per cui convincere gli esportatori è più difficile».
La sua ricetta?
«Non so se sia meglio partecipare alle fiere, spendendo molto, oppure selezionare dieci giovani, a cui dare centomila euro ognuno all'anno, mandandoli in dieci differenti aree del mondo per “piazzare” il vino sardo. Secondo me questo metodo sarebbe più efficace, ma come ho già detto, il mercato non è facile neanche per chi vi opera». ( g. d. )

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