Partecipa a labarbagia.net

Sei già registrato? Accedi

Password dimenticata? Recuperala

L'unione sarda. L'uva acerba dà più soldi

Contributi a chi fa marcire i grappoli per limitare la produzione: la Regione stanzia 372 mila euro ma arrivano soltanto 32 richieste

Condividi su:

Fare l'agricoltore senza sobbarcarsi il rischio d'impresa. Per troppi anni il sistema ha funzionato così, grazie anche alla complicità di “mamma” Unione europea, che faceva arrivare nei campi una pioggia di contributi per il solo fatto di possedere un terreno agricolo. Se poi non si arava, non si piantava qualcosa e soprattutto non si raccoglievano i prodotti della terra, poco male, tanto l'Unione europea garantiva lo stesso i fondi. E così l'agricoltura sarda si è impoverita, tranne accorgersi troppo tardi che era meglio cambiare registro.
Il retaggio di questa cultura del non fare persiste, anche con il sostegno della Regione, che mette a bando ancora contributi provenienti da Bruxelles, per fortuna pochi, per la cosiddetta vendemmia “verde”, che di verde ha ben poco. In sostanza, chi ritiene che sia meglio non vendemmiare, fa una domanda alla Regione, che garantisce una somma consistente per tagliare i grappoli acerbi e lasciarli marcire sui campi. E si badi bene che non si tratta della pratica, seguita un po' da tutti i viticoltori, di selezionare i grappoli, tagliando quelli con minor resa, per migliorare il prodotto. In questo caso, il taglio è netto e indiscriminato, oltre che ben pagato dagli uffici dell'Argea, l'agenzia regionale per le erogazioni in agricoltura.
IL BANDO L'ultimo bando risale a meno di un mese fa. Pubblicato il 7 giugno dalla Regione, entro il 15 dello stesso mese dava la possibilità alle aziende agricole di tagliare i grappoli e ricevere le visite degli ispettori regionali per attestare l'avvenuta recisione dell'uva, avviando così la pratica per il pagamento, per il quale sempre dagli uffici dell'amministrazione regionale sono stati stanziati 376mila euro. Le richieste presentate e ammesse a ottenere il contributo, spiegano dagli uffici della Coldiretti, in via dell'Artigianato a Cagliari, sono state 32 per un totale di circa 200 ettari (su 28mila destinati a vigneto in tutta la Sardegna) interessati dalla pratica della vendemmia “verde”. Il contributo garantito è di 3.000 euro a ettaro per i doc e leggermente più basso per gli altri tipi di vitigni. Complessivamente, ogni produttore quest'anno ha incassato intorno agli 11mila euro. «Fortunatamente le domande non sono state tante», spiega Luca Saba, direttore regionale di Coldiretti, «mi domando se valga la candela fare un bando su questo tipo di pratica che ormai interessa una quantità infinitesimale della superficie vitata nell'Isola». In realtà si tratta del retaggio di un vecchio modo di fare agricoltura, «che dava più importanza al contributo ottenuto per evitare di vendemmiare, in modo tale da contenere la produzione agricola, che al rischio d'impresa», aggiunge Saba. «È una pratica che non ha valenza strategica», osserva ancora il direttore di Coldiretti.
LE AZIENDE In effetti, a mettere in pratica la cosiddetta vendemmia “verde” sono soprattutto i piccoli proprietari, quelli che possiedono terreni di non grandi dimensioni e piuttosto che raccogliere l'uva preferiscono incassare i contributi. C'è da chiedersi però se non sia meglio disfarsi di quei terreni permettendo alle cantine in crescita di aumentare i propri terreni e l'offerta sul mercato? Fino a che ci saranno contributi per evitare di raccogliere l'uva forse questa domanda non troverà risposta.
«Nel 2013 non registriamo alcuna richiesta da parte degli imprenditori agricoli del territorio per la vendemmia “verde”», afferma il direttore di Confagricoltura Oristano Roberto Serra, «credo che questa procedura possa essere giustificata solo nel caso in cui la produzione venga compromessa qualitativamente e quantitativamente da eventi climatici che non possono essere controllati dagli imprenditori agricoli. Solo in questo caso infatti, l'imprenditore può trarne beneficio». Per il resto, Confagricoltura assicura che «la tendenza degli agricoltori iscritti alla nostra organizzazione è quella di non utilizzare questo tipo di contributi. I nostri associati preferiscono dunque affrontare le difficoltà del mercato del vino e sobbarcarsi il rischio di impresa portando a buon fine la trasformazione del prodotto, piuttosto che distruggere i grappoli». Ne va del buon nome del vino sardo.
Giuseppe Deiana

Condividi su:

Seguici su Facebook