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L'unione sarda. Salumi sardi? Un'eccezione

Il 90% di quelli prodotti in Sardegna proviene da carni estere

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Ogni anno, all'insaputa dei consumatori, arrivano sul mercato 55 mila quintali di salumi spacciati come sardi. In realtà, la nostra produzione deriva per il 90% da suini esteri. Per questo, avverte Confagricoltura, «è necessario estendere ai prodotti alimentari trasformati l'obbligo di etichettatura sull'origine e la provenienza delle carni». E la Regione? «Deve sollecitare con urgenza i ministeri competenti affinché emanino i decreti attuativi della legge sull'etichettatura (la numero 4 del 2011)».
L'INDOTTO La filiera suinicola sarda, attraverso la vendita e la trasformazione delle carni in salumi, ogni anno genera un indotto pari a 60 milioni di euro, per una quantità complessiva stimata in 274.000 quintali. Confagricoltura Sardegna rileva «con preoccupazione che nei 69 salumifici autorizzati dell'Isola si lavorano per il 90% carni di importazione nazionale ed estera e solo per il restante 10%, si utilizzino animali nati e cresciuti in Sardegna».
LA DENUNCIA Ogni anno vengono regolarmente messi in commercio circa 55mila quintali di salumi derivati da suini esteri, che «all'insaputa dei consumatori, nulla hanno di sardo, se non il luogo di trasformazione. E non vale la scusa che in Sardegna c'è la peste suina e che dunque i trasformatori non possono esportare». La maggior parte di questi derivati sono infatti destinati per l'85% al mercato interno isolano, mentre solo il 13% a quello nazionale e il 2% all'estero.
LA LEGGE «Le cronache di questi giorni hanno riportato al centro dell'attualità il problema dell'etichettatura dei prodotti alimentari, indispensabile per una corretta informazione e tutela dei consumatori», sottolinea Maurizio Onorato, direttore di Confagricoltura Sardegna, «ma nonostante la legge 4 del 2011, ai commi 4 e 2, preveda l'obbligo di riportare nell'etichettatura il luogo di provenienza o di origine e se si tratta di prodotti trasformati anche l'indicazione del luogo in cui è avvenuta l'ultima trasformazione, coltivazione, allevamento della materia prima agricola (prevalente utilizzata nella preparazione dei prodotti), questa disposizione non può essere applicata». Come spiega Onorato, «manca infatti l'emanazione dei decreti attuativi dei ministri competenti».
LA TUTELA «L'obbligo di etichettatura dell'origine», prosegue Onorato, «già previsto in Europa per la carne bovina ed esteso anche a quelle di maiale, pollame, agnello e capra, è un primo importante passo per la tutela del consumatore e sarebbe opportuno applicare queste regole anche ai prodotti trasformati come i salumi, dove sempre più spesso si verifica l'inganno del falso “made in Sardinia”. Marchi prestigiosi come Vismara o Fiorucci», lamenta Onorato, «utilizzano il nome sardo per valorizzare il proprio prodotto, a conferma che il termine è sinonimo di qualità e conferisce un valore aggiunto. Ma si tratta di un utilizzo improprio, fuorviante e ingannevole perché in questi prodotti non c'è nulla di sardo».
Lanfranco Olivieri

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