Partecipa a labarbagia.net

Sei già registrato? Accedi

Password dimenticata? Recuperala

La nuova sardegna. Il papà: «Ci sparava addosso ma mio figlio era ben visibile»

«Era vicino a me e aveva un cappellino giallo per farlo notare meglio a chiunque: è stato colpito alla testa proprio nel momento in cui gli ho gridato di buttarsi a terra»

Condividi su:

di Valeria Gianoglio

NUORO «Io non lo so, io non lo so cosa gli è preso ma quello ci ha sparato addosso, aveva appena visto il cinghiale. Io ho fatto giusto in tempo a sentire la pioggia di pallettoni, mi risuonavano vicino all’orecchio, ho fatto in tempo a girarmi e a gridare a mio figlio “Buttati a terra”, che me lo sono visto cadere davanti. Ma in quel letto d’ospedale, adesso, potevo esserci anch’io». Barba di qualche giorno, volto scuro, occhiaie profonde, frutto di una notte insonne a macerarsi tra mille domande, alle 14.30 di ieri, il papà di A.C. è un uomo stravolto ma che non ha ancora perso del tutto la speranza. Abbraccia la moglie, ormai senza voce e senza più lacrime, stringe tra le braccia il figlio più grande, risponde, seppur a fatica, ai tanti perché di amici e parenti. E come un soldato tenace non abbandona neppure per un minuto la postazione: le panche del reparto di rianimazione dell’ospedale San Francesco dove è ricoverato suo figlio di appena 12 anni. Centrato da un pallettone alla testa in una battuta di caccia nelle campagne di Irgoli. I medici gliel’hanno detto, che ha un figlio forte. Che sta lottando per restare in vita anche se un pallettone se lo vorrebbe portare via. I medici gli hanno detto anche che il suo cervello da giovinetto sta rispondendo bene ai medicinali e si è sgonfiato. Ma gli hanno anche fatto capire che c’è una spada di Damocle che incombe sulla sua testa: il pallettone, dopo aver centrato il piccolo alla fronte, ha portato via un po’ di materia cerebrale. E dunque, se il piccolo dovesse riprendersi, non si sa quali potrebbero essere le conseguenze sul suo corpicino da guerriero. La sua famiglia, i compagni di classe che ieri sono andati a trovarlo, di conseguenze brutte non ne vogliono neppure sentire. «Speriamo in un miracolo – dicono – perché è un bambino forte». E così, l’attesa in ospedale continua. Lunga, sfiancante, piena di momenti di buio che si alternano ad attimi di luce. Il papà fa di nuovo capolino dal reparto Rianimazione. Infila le mani nella tasca dei pantaloni di velluto scuro e si capisce che vuole che su quella battuta di caccia esca fuori la verità. Forse gli è arrivata l’eco di qualche polemica legata alla sicurezza e alla presenza di un bimbo alla battuta, forse gli sono arrivate anche le prime parole del carabiniere in pensione che ha sparato il colpo caricato a pallettoni. Certo è che N. vuole che si capisca come sono andate le cose nella zona di San Michele, vicino a Irgoli. «Eravamo lì – spiega, non senza fatica – mi sono sistemato in una posta e avevo vicino mio figlio e poco distante l’altro figlio. È successo così e l’ho detto ai carabinieri: a un certo punto mi sono visto passare vicino l’ex carabiniere, Paletta, che si è piazzato in un’altra posta. È spuntata una volpe e ho esploso dal mio fucile tre colpi caricati a balla sola. Stavo per andare verso la volpe, quando è spuntato fuori un cinghiale e lì è successo il disastro: Paletta ha cominciato a esplodere colpi, sentivo i pallettoni che mi passavano vicino all’orecchio. Stava sparando nella nostra direzione, ci stava sparando addosso. Allora mi sono girato verso mio figlio piccolo. Ho gridato “Buttati subito a terra!”, ma purtroppo me lo sono visto cadere davanti. L’altro mio figlio, invece, il più grande, e gli altri compagni di battuta sono riusciti per fortuna a buttarsi a terra». Poi si interrompe, anche per lui che è un uomo forte è difficile ricordare quegli istanti terribili. Eppure vuole farlo, dice, «perché voglio che sia chiaro che mio figlio ce lo avevo vicino, non era distante. Ma non ho potuto fare nulla, perché quello ha sparato verso di noi, dopo che ha visto il cinghiale. Adesso in Rianimazione potevo esserci anch’io o altri compagni di caccia. Non so davvero cosa gli sia preso. E anche la visibilità era ottima. Eravamo in una zona dove non c’era boscaglia o cespugli, si vedeva benissimo. Eppure mio figlio è caduto sotto quel colpo». «Lo vede? – dice in conclusione, mentre estrae da sotto il maglione un cappuccio di lana fosforescente con qualche macchia di sangue – lo vede questo cappellino? È di mio figlio. Ce lo aveva addosso quando è stato colpito dal pallettone, non è vero che non era segnalato. Questo cappellino è del mio bambino e rimarrà sempre con me».

Condividi su:

Seguici su Facebook