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L'unione sarda. In guerra per il lavoro

Esplode la rabbia degli operai Alcoa durante il vertice a Carbonia Sassaiola e fuoco, la delegazione del Governo fugge in elicottero

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di Stefania Piredda
Il fumo nero avvolge i castelli di ferro della miniera, un centinaio di uomini blocca chiunque tenti di superare un fronte fatto di caschetti colorati e braccia alzate al cielo da chi sente di non avere più niente da perdere. Un rogo avvolge un'automobile e tutto ciò che gli operai Alcoa, inferociti per quella che ritengono l'ennesima presa in giro, sono riusciti a mettere insieme per bloccare le strade e mettere sotto sequestro chi sta all'interno della Grande Miniera Serbariu. E quando in cielo si levano gli elicotteri che portano via i ministri inviati a Carbonia dal Governo per raccontare il piano ideato a misura della crisi del Sulcis, una pioggia di sassi dà il via alla parte finale di una giornata di guerra. Una guerra proclamata in nome del lavoro.
LA GIORNATA Che quella di ieri non sarebbe stata una giornata facile lo si era capito sin dalle prime ore del mattino quando gli operai, i disoccupati, i minatori, gli studenti, gli artigiani i sindaci e tanti altri rappresentanti dei Comuni del territorio, si sono radunati all'ingresso della miniera, nel piazzale dedicato a Sergio Usai, il sindacalista della Cgil, protagonista di mille battaglie per il lavoro, scomparso tragicamente nel 2006; idealmente c'era anche lui quando il popolo della crisi ha cominciato ad avanzare finché non è stato bloccato da una lunga fila di transenne. «Non siamo delinquenti - questo il grido che si è sollevato dal gruppo dell'Eurallumina guidato da Antonello Pirotto - se avessimo un lavoro a quest'ora saremmo in fabbrica e questi ragazzi sarebbero a scuola non qui a lottare con noi». Poco lontanto dalle tute verdi, Antonello Tiddia, minatore della Carbosulcis, si è incatenato alle transenne: «Siamo stanchi di chi si ricorda del popolo sardo solo in periodo di elezioni - ha detto - oggi siamo qui a sentire le solite promesse, io non ci credo più». Il clima era ancora relativamente calmo quando don Antonio Mura, parroco della chiesa di San Ponziano, guida spirituale della città, si aggira fra gli operai. Ma poi, quando arriva la delegazione Alcoa da Portovesme dopo un'assemblea in fabbrica, la vera battaglia è cominciata.
LA GUERRIGLIA A terra le transenne piazzate per creare una sorta di zona rossa davanti alla quale erano schierate le forze dell'ordine in tenuta anti-sommossa. E poi petardi, qualche bomba carta, tanti palloncini pieni di vernice colorata hanno centrato gli scudi, le divise, i mezzi della polizia. Sono stati attimi di tensione e loro malgrado i poliziotti hanno dovuto usare i manganelli per evitare che migliaia di persone potessero invadere il piazzale e raggiungere l'edificio scelto come sede dell'incontro. Ci sono riusciti, ma la battaglia era appena agli inizi. Mentre quattro delegazioni, di Portovesme srl, Carbosulcis, Eurallumina e Alcoa, venivano accompagnate dai membri del Governo, i manifestanti si sono diretti di corsa verso un altro ingresso dell'edificio sperando di forzare il blocco: ancora urla, spintoni, petardi e ancora vernice. Ora dopo ora, il clima si è fatto sempre più arroventato: «Lavoro, sviluppo, occupazione - hanno gridato ancora gli operai - la cassa integrazione non è la soluzione». Non sono bastate le parole dei ministri a rassicurare chi da anni non fa che sentire promesse. «Per noi non c'è nulla», hanno gridato gli operai Alcoa e degli appalti che si sono diretti verso le strade d'accesso alla miniera, decisi a bloccarle con ogni mezzo. Anche con il fuoco. Sulla strada è arrivato di tutto: vecchi pneumatici, un divano, un motorino, addirittura un gommone e una vecchia auto trovata in una vicina discarica: tutto è finito in un rogo gigantesco. Impossibile per i ministri lasciare la città in auto: da Elmas sono arrivati due elicotteri ed è stata allora che l'ira degli operai ha preso il sopravvento e la situazione è sfuggita di mano. La protesta è diventata guerriglia: diversi poliziotti sono rimasti feriti e a terra, sotto la pioggia di sassi, sono finiti anche alcuni operai. Alcuni fermi. Poi la ragione ha ripreso il sopravvento.

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