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L'unione sarda. Legge elettorale, che pasticcio

Cosa accade se l'articolo anti-governatore sarà cassato

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Con quale legge si voterà alle elezioni Regionali del prossimo febbraio? Per ora l'unica certezza è che a stabilirlo sarà, in autunno, la Corte costituzionale. Dopo l'impugnazione formale da parte del Governo Letta delle disposizioni che riguardano l'incandidabilità di un (eventuale) presidente della Giunta dimissionario, i giudici della Consulta dovranno fissare un'udienza - e prendere dunque una decisione - entro 90 giorni. Meno probabile che la Corte sospenda l'efficacia della norma regionale: la sentenza dovrebbe arrivare molto prima delle elezioni, a novembre al massimo. Inoltre, se anche venisse cassato l'articolo anti-governatore, l'impianto della norma rimarrà in piedi.
E poi: a sentire il ricercatore di diritto Costituzionale dell'Università di Cagliari Marco Betzu, non ci dovrebbero essere dubbi sul fatto che la regola, introdotta con un emendamento proposto da Mario Diana e approvato a voto segreto, venga bocciata dalla Consulta. «A una prima lettura, la disposizione è viziata da irragionevolezza, perché prescinde dalle motivazioni che fondano le dimissioni e sanziona quella che è una facoltà certamente riconosciuta a chiunque sia titolare di cariche elettive», spiega il docente. In questo caso, l'articolo della Costituzione violato è il terzo, sull'uguaglianza formale e sostanziale.
LA DECISIONE Non sarebbe l'unico neo della norma. La disposizione infatti sarebbe in contrasto con l'articolo 51 della Carta, che difende «il diritto di tutti i cittadini di accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza». Questo perché secondo Betzu l'articolo impugnato dal Governo «non è espressione di quelle “condizioni peculiari locali” che sole, secondo la Corte, possono legittimare un discostamento rispetto alla disciplina vigente in altre Regioni».
La Corte deciderà entro 90 giorni dal deposito del ricorso. Difficile che venga disposta una sospensione della norma, adottata solo quando c'è in ballo un «irreparabile pregiudizio all'interesse pubblico o all'ordinamento giuridico della Repubblica», oppure «il rischio di un pregiudizio grave e irreparabile per i diritti dei cittadini». E non sarebbe questo il caso, visto che la sentenza dovrebbe arrivare ben prima della chiamata alle urne.
LE REAZIONI La decisione del Governo nazionale ha suscitato - com'era ampiamente prevedibile - le reazioni del mondo politico regionale. Sia da una parte che dall'altra. C'è, ad esempio, chi si aspettava un ricorso più ampio, e non solo contro il terzo comma dell'articolo 22: «È sconcertante che la legge elettorale sarda sia stata impugnata dal Governo perché vieta la ricandidatura immediata del Presidente della Regione dimissionario prima della fine della legislatura, e non per la violazione dell'articolo 3 e 51 della Costituzione italiana che contempla “l'uguaglianza di tutti i cittadini” e la “piena accessibilità di ogni cittadino alle cariche elettive”», dice la consigliera regionale di Sardigna Libera, Claudia Zuncheddu. «Denunciamo il sovvertimento delle regole democratiche da parte del Governo e auspichiamo che in Sardegna prevalga il buonsenso e che il Consiglio vari urgentemente una nuova Legge elettorale equa e che non discrimini ed escluda paradossalmente i sardi. Su questa ennesima vergogna», conclude Zuncheddu, «non abbasseremo la guardia».
L'OPPOSIZIONE Il capogruppo del Pd Giampaolo Diana invece vede il bicchiere mezzo pieno: «È stato impugnato un aspetto marginale della legge, mentre il resto non è in discussione. Questo è un punto a nostro favore ed è la conferma del buon lavoro fatto dal Consiglio. Che ha scritto una norma in cui viene eliminato il listino e confermata la rappresentanza territoriale, ad esempio. E poi, a essere onesti, dobbiamo dire che l'articolo impugnato è stato votato velocemente. Forse troppo. Senza essere analizzato bene, come è stato fatto per la preferenza di genere. È figlio della fretta».
LA MAGGIORANZA Il capogruppo del Pdl Pietro Pittalis invece parla di «un'operazione di disinformazione e strumentalizzazione». E l'esponente azzurro si riferisce all'ipotesi di un ricorso legato alla mancanza della parità di genere: «Spiace che qualcuno, come l'onorevole Sanna, si autonomini paladino della parità di genere per le regionali e non abbia invece trovato il coraggio di chiedere le stesse proporzioni nelle liste per le elezioni politiche cui ha partecipato e in particolare per quella presentata dal Partito democratico al Senato, con le donne relegate agli ultimi posti». Secondo Pittalis, «non può sfuggire inoltre che chi si trova a Roma grazie al voto dei sardi non vigili sui pasticci parlamentari e appaia quasi elettrizzato quando è l'esecutivo a impugnare una decisione dell'Assemblea sarda».
Mario Diana, capogruppo di Sardegna è già domani e padre della norma contestata, ricorda che la disposizione «ha lo scopo di tutelare la democrazia e di ristabilire l'equilibrio tra potere legislativo ed esecutivo, oggi sbilanciato a favore di quest'ultimo». Ecco perché Diana spera che «venga difesa davanti alla Corte Costituzionale e possa, in futuro, essere adottata anche dalle altre Regioni italiane. Al contrario di quanto va dicendo il presidente Cappellacci, la norma è stata studiata appositamente per evitare i “muretti a secco”».
La replica del governatore non si è fatta attendere: «L'impugnazione della legge elettorale é avvenuta per cause ben diverse da quelle indicate da chi ha provato a mistificare la realtà», ha detto Cappellacci. «Oggi sono più chiari non solo le cause dell'impugnativa, ma anche chi abbia la paternità del “pasticcio” e le finalità che perseguiva: il tentativo strisciante di neutralizzare l'elezione diretta del presidente, per preparare un ritorno al passato, all'epoca degli inciuci, delle imboscate e dei riti della cosiddetta prima Repubblica».
Gabriella Greco, del Pdl, annuncia che verrà riproposto appena possibile un emendamento sulla doppia preferenza di genere «non appena la legge elettorale tornerà in aula per le opportune verifiche. L'auspicio è che questa volta si dia seguito con i fatti a ciò che si è solo professato con inutili dichiarazioni. Se non si vuole mettere in discussione credibilità e correttezza sarà bene che nessuno osi chiedere il voto segreto».
Michele Ruffi

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