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La nuova sardegna. «Condannate Barranca a 17 anni»

Sequestro Titti Pinna: il pg ripropone la sentenza di primo grado dopo l’annullamento dell’assoluzione in Cassazione

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di Elena Laudante

INVIATO A CAGLIARI «Chi è Natalino Barranca? Forse dovremmo partire da questa domanda, che non fu posta in Appello, per dimostrare la sua responsabilità nel sequestro di Titti Pinna». Il servo pastore di Sedilo, 72 anni da compiere, occhi azzurri quasi trasparenti, scopre di rado i pochi denti quando apre la bocca. Gli angoli all’in giù lo fanno sembrare una maschera allegorica triste. Capo chino, siede al banco degli imputati della Corte d’appello di Cagliari. È in bilico tra l’assoluzione di secondo grado e una condanna, visto che quel verdetto è stato annullato dalla Cassazione. «Contro Barranca - propone alla Corte d’appello di Cagliari, il procuratore generale Mauro Rosella - non ci sono prove indiziarie, ci sono prove dirette. Mungeva le pecore a meno di due metri dal covo dov’era segregato Titti e dice di non essersene accorto, per oltre un mese: dev’essere condannato a 17 anni per concorso in sequestro di persona». È la pena che era stata inflitta in primo grado, al processo sul rapimento dell’allevatore di Bonorva preso l’11 settembre 2006. Si liberò, dopo la prigionia nell’ovile di Salvatore Atzas, a Su Padru, la mattina del 28 maggio 2007. In quell’ovile Barranca ha lavorato come servo pastore per un mese, l’ultimo. Al magistrato servono due ore per inanellare un dettaglio dietro l’altro, e tentare di convincere la Corte - presidente Antonio Onni, relatrice Luisanna Melis, a latere Gabriella Muscas - che Barranca fosse lì. «Perché Atzas lo conosceva, aveva già lavorato con lui e sapeva che quanto osservato sarebbe rimasto dentro di lui». Insomma, lo riteneva uomo fidato, pastore «di esperienza», ripete più volte Rosella, e di certo non potè non notare le «anomalie» di quel posto. «Anzitutto, il filo elettrico - spiega il pg - che partiva da un interruttore per finire in mezzo alle balle di fieno, col rischio che una scintilla mandasse tutto a fuoco». Quel filo correva lungo una trave ed entrava, per alimentare una lampadina, nel cunicolo tra il fieno dove Pinna è stato segregato per 8 mesi e 9 giorni, catena al collo. E poi, come non notare la presenza irrituale, secondo l’accusa, di balle di fieno che «in quel periodo dell’anno ormai non si conservano più, si buttano via, perché l’anno successivo gli animali devono avere fieno fresco. Balle che, come testimonia il veterinario, erano sempre state nel box dei cavalli». Invece, erano solo sistemate come fossero una scaletta verso il soffitto, dietro la quale c’era l’angusto covo. Rosella lo mostra in foto proiettate su un maxi-schermo, per far vedere ai giudici quanto vicino fosse il nascondiglio mimetizzato alla “cattura”, cioè la sbarra in ferro alla quale si assicuravano le pecore durante la mungitura. Era Barranca che la faceva. E questo porta il pg ad andare oltre quanto valutato dai giudici di primo grado. «Pinna dice che i vivandieri erano due, uno aveva odore di cavallo, presumibilmente Atzas, l’altro di sigaretta, e Barranca fuma. Dice che gli portavano i pasti ogni due mungiture. Non è chiaro quanto tempo dopo, ma si può dedurre che fosse poco dopo. E se Barranca mungeva, come faceva a non vedere Atzas che cucinava i pasti e li portava a Pinna?». E ancora, la presenza di cibo in frigo, bastoncini Findus, uova e burro per nutrire il segregato. Anche lì: poteva non vedere? Sui pasti si innesca il botta e risposta col difensore di Barranca, Pasqualino Federici. «Pinna non dice nulla sull’orario dei pasti, in atti non c’è traccia di questo riferimento temporale alla mungitura», tuona il legale. Rosella annuncia repliche. Dopo la requisitoria, Federici conduce un’arringa serrata. Nel frattempo, Barranca che era accanto a lui si è spostato in fondo all’aula. Guarda tutti da lontano, sguardo talvolta basso. «In quel covo c’erano solo impronte di Atzas e di un’altra persona ignota. Invece di pensare a trovare l’altra, hanno accusato Barranca», sottolinea il legale. «Il servo pastore è innocente. Quando Pinna si liberò, lui apprese del sequestro a casa sua, guardando la tv. Se fosse stato colpevole, avrebbe preso la via dei monti, invece attese lì perché è innocente». E ancora, il legale punta sull’assenza di tracce nel covo, sul fatto che Pinna non abbia saputo dire se mangiava di giorno o di notte. E Barranca andava lì due volte al giorno con Atzas. Infine, l’argomento principe: il covo. «Nemmeno i carabinieri lo hanno trovato in un sopralluogo di un’ora e mezza. E quando Titti si libera, impiegano 4 ore per capire dov’è. Come poteva vederlo un pover’uomo come Barranca? Ha fatto oltre 3 anni di galera. Giudici, se avete la certezza morale, allora condannatelo. Ma lui è innocente: deve essere assolto». Sentenza il 18 gennaio.

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