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L'unione sarda. «La mia candidatura? Non è una dichiarazione di guerra»

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di GIORGIO PISANO
La sua candidatura alle primarie del centrosinistra ha fatto venire qualche disturbo gastro-enterico all'interno del Pd. Ma se sperate di farglielo confessare è tempo perso. Vicesegretaria regionale del partito, figlia d'un contadino, due lauree, comunista fin dalla più tenera età (come si dice nelle antologie letterarie), Francesca Barracciu mescola tattica, intelligenza e fascino. Quarantasette anni, ex sindaco di Sorgono, due legislature regionali, europarlamentare da sette mesi, s'è messa inaspettatamente a correre per le elezioni del prossimo febbraio. Nel senso che nessuno o quasi sapeva, nessuno o quasi immaginava. Tant'è che gli avvertimenti (ma erano avvertimenti o minacce?) non si sono fatti attendere. La descrivono determinata, irascibile, passionale. Non chiacchierata, soprattutto.
Però faceva resistenza a lasciare il Consiglio regionale.
«Avevo bisogno di riflettere prima di decidere se subentrare a Rosario Crocetta, che si era dimesso per fare il presidente della regione Sicilia. David Sassoli, capo della nostra delegazione a Bruxelles, mi ha convinto».
Ha ragione il cantautore De Gregori a dire che non vale più la pena di votare?
«Sbaglia valutazione e sbaglia anche messaggio. Questo non è tempo per isolarsi, rintanarsi nel privato. Al contrario, è il momento in cui ciascuno di noi deve dare quello che può, quello che sa».
Com'è la Sardegna vista da Strasburgo, angolo morto d'Europa?
«Non direi. Faccio parte, come avevo chiesto, delle commissioni Agricoltura e Sviluppo regionale, settori che hanno una stretta connessione ai problemi della Sardegna. Angolo morto d'Europa? La verità è che non siamo stati all'altezza della mano tesa dall'Europa: destinatari di congrui finanziamenti negli ultimi sette anni, siamo riusciti a sfruttarne appena il 40 per cento. E manca un anno alla fine della legislatura».
La imbarazza essere socia di Berlusconi a Palazzo Chigi?
«Non sto e non starei al governo con un pregiudicato. Ma mi rendo conto che si tratta di stato di necessità, non ci sono alternative. Non si può tornare alle urne con il Porcellum».
Che differenza c'è tra le vostre divisioni interne e le correnti della Dc prima repubblica?
«Il partito democratico è un partito grande, complesso, un partito che nasce con l'ambizione di mettere insieme diverse culture dell'area progressista italiana. Dunque è sbagliato parlare di correnti: la varietà di idee è la forza e la ricchezza del Pd. Siamo in cammino per trovare una sintesi».
Renziana, vero?
«Ho votato Bersani alle primarie. Ai renziani mi accomunano le istanze di rinnovamento del Pd e la difesa delle primarie».
A proposito: gestazione difficile quella delle primarie nel Pd sardo.
«Non mi sembra. Le primarie, del resto, non sono una passeggiata ma la ricerca del candidato più idoneo a portare avanti la nostra linea. Ci sono regole, un codice etico e programmi: e quindi dibattito».
Non nota un certo ingorgo di candidati?
«Non c'è mai troppa folla quando si tratta di primarie, altrimenti non sarebbero primarie vere».
Lei risulta discoletta: è stata avvertita di non svolgere trattative parallele.
«Quella di chi mi ha rimproverato è una dichiarazione esagerata: il leader dell'Ups dev'essersi distratto, confonde il termine confronto con trattativa. Sostengono che eccedo in entusiasmo: meno male che ce l'ho. Non ne avessi, non farei politica».
Che c'entra col Pd l'area indipendentista?
«Stiamo parlando del Partito democratico della Sardegna. Che ha, per definizione, accezioni differenti da quelle del partito nazionale. Voglio dire che di fronte al governo di Roma, che non sempre risponde alle nostre istanze, c'è bisogno di una certa spinta. Fermo restando che il Pd non è indipendentista, abbiamo necessità di ribadire la nostra sovranità, affermare diritti e doveri».
Se l'aspettava Maninchedda, ex Psd'Az, riconvertito indipendentista?
«No. Ma ho visto che è particolarmente convinto di questa sua svolta politica e culturale. Lo rispetto».
Le è arrivata alle orecchie la dichiarazione d'amore del sardista Giacomo Sanna?
«Mi fa piacere. Il centrosinistra ha il dovere di avviare il dialogo con il Psd'Az. So che la nostra coalizione sta valutando proprio in questi giorni la possibilità di un allargamento ad altre forse politiche, sardisti inclusi».
Nemici interni: chi le fa la guerra?
«Spero non me la faccia nessuno. La mia candidatura non è una dichiarazione di guerra. Mi candido perché voglio fare squadra ed essere rispettosa di chi si è presentato alle nostre primarie».
Il sindaco di Cagliari dice che la sinistra è bravissima a farsi del male.
«Ultimamente abbiamo forse parlato a voce troppo alta. Occorre iniziare a discutere soprattutto con la gente e tra la gente. Discutere e ascoltare».
Sussurrano che lei non ha la competenza per fare la governatrice.
«Questo di un uomo non l'avrebbero certamente detto. Non l'hanno detto, ad esempio, per il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, che ha un'esperienza sicuramente più breve della mia. Ho fatto il consigliere comunale, l'assessore, il sindaco, il consigliere regionale (in maggioranza e all'opposizione) e infine anche l'europarlamentare. Questo per chiarire che ho alle spalle la gavetta. Sarà un caso che chiedano solo alle donne di farla?»
Quale sarebbe il suo primo provvedimento da governatrice?
«Partire dagli ultimi».
Diamine, come papa Francesco.
«No, come donna di sinistra».
Quali sono le colpe del suo segretario?
«Silvio Lai è un uomo competente e preparato ma non ha saputo dare forza e visibilità a una nuova classe dirigente. Ha peccato di eccessiva ed estenuante mediazione tra le parti».
Ha fatto bene Renato Soru a non ricandidarsi?
«È stato un gesto generoso, il suo. E se ha deciso così avrà avuto buone ragioni. Ha dichiarato d'aver voluto favorire il cambiamento e il rinnovamento all'interno del partito. Rimane comunque in campo la sua visione della Sardegna».
Voci interne: Antonello Cabras è l'uomo più potente del Pd.
«Uomo di potere è chi ogni giorno mette i mattoni per cambiare in meglio la vita di tutti. Papa Francesco è uomo di potere, Berlinguer e Moro lo erano. Non so se Cabras sia un uomo così potente».
Cappellacci ha detto di non essersi accorto dell'opposizione.
«Cappellacci non si è nemmeno reso conto d'essere stato presidente della Regione, che i sardi sono alla fame, che la cassa integrazione è cresciuta con lui del 600 per cento, che la dispersione scolastica è salita di oltre 12 punti sulla media europea; non s'è reso conto che la spesa della sanità ha raggiunto un disavanzo spaventoso, che la percentuale dei disoccupati ha toccato vette inquietanti».
Insomma, lo affiderebbe alla clemenza della Corte.
«Meglio, alla clemenza di Berlusconi. Mi terrorizza la possibilità che possa governare per altri cinque anni».
Convertitevi, ha ammonito don Cannavera rivolto alla classe politica.
«Condivido ma mi dispiace che non abbia fatto distinzioni. Lo stile del centrodestra è privilegiare le conoscenze e non la conoscenza. Noi ci muoviamo in ben altra direzione».
Farebbe l'assessore nella giunta presieduta da un prete?
«Il contrario: mi piacerebbe averlo, nella veste di assessore, nella mia giunta».
pisano@unionesarda.it

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