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L'unione sarda. Lingua blu, ovili in ginocchio

OTTANA. Cinquanta aziende sotto sequestro. I pastori: «Vaccinazioni fatte in ritardo»

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OTTANA Tre le ha trovate morte ieri mattina. Più le quindici dei giorni scorsi fanno diciotto. Tutto segnato nel quaderno che gli serve come registro nero di quest'altra peste che sta buttando a terra le sue 300 pecore selezionate, campionesse della produzione di latte che pascolano nel salto di Ottana.
«Più della metà sono malate», dice sconsolato Alessandro Denti. Trentadue anni, a capo dell'azienda condotta assieme al padre Giovanni e con l'aiuto del fratello agronomo, è l'allevatore che per primo ha avuto il sospetto e che ha segnalato ai veterinari dell'Asl lo spettro della Lingua blu. È successo una settimana fa e in sette giorni l'epidemia ha investito tutti i pascoli e gli allevamenti ovini di questo territorio. Sono 50 (un paio anche ieri) le aziende poste sotto sequestro con ordinanza firmata dal sindaco. «Se va avanti così - avverte il primo cittadino Gian Paolo Marras - non escludo che nei prossimi due giorni dovrò far apporre i sigilli ad altri quindici allevamenti». Nella piana di Ottana, le aziende zootecniche sono una settantina. E quasi tutte di pecore selezionate.
LA RABBIA «È un disastro», sintetizza il sindaco, amministratore deciso a far nascere i fiori dalle ceneri della Chimica. Lui scommette sulla riconversione verde di un comune che per quarant'anni ha vissuto di industria e si ritrova con 250 cassintegrati (i residenti sono 2700 ndr). «La nostra è una pianura fertilissima, di erbe e piante profumate, e non è un caso che il latte prodotto qui vinca i premi per la qualità vicina all'eccellenza. I nostri allevatori investono per far crescere l'azienda. Possibile che debbano perdere tutto solo perché non c'è un'adeguata politica di vaccinazioni ed è addirittura inesistente la disinfestazione negli ovili?».
LA FOSSA AUTORIZZATA Intanto, ieri mattina, in un'area Pip sono stati conclusi i lavori di scavo della fossa dove verranno buttate le carcasse delle pecore. Da stamani (orario 8-10) gli allevatori potranno seppellire i capi. «E da lunedì - annuncia il sindaco - la discarica autorizzata sarà aperta tutti i giorni nello stesso orario».
VACCINO FUORI TEMPO Sicché, stamani, Alessandro Denti e tutti gli altri allevatori che hanno visto morire le loro pecore colpite dalla febbre catarrale (il virus viene trasmesso dai culicoides, moscerini che proliferano col caldo ndr ), lasceranno l'ovile alla guida del pick-up col cassone carico di carcasse. «Ecco come sta andando a finire il nostro lavoro - sibila l'allevatore -. Perché non hanno pensato per tempo alla prevenzione?». I vaccini sono arrivati a Ottana qualche giorno fa, dopo le prime avvisaglie dell'epidemia. «I veterinari hanno vaccinato le agnelle, ma adesso - racconta Alessandro Denti - sono buttate a terra».
LA SEGNALAZIONE Le 600 pecore di Bachisio Barca, 41 anni, un'azienda al confine con Orani, sono state colpite tutte dalla malattia. «Alcune l'hanno superata in pochi giorni, altre sono ancora debolissime. Ma finora, grazie a Dio, nessuna è morta». Lui aveva notato qualcosa che non andava un paio di settimane fa. «La colpa è un po' anche di noi pastori che magari non segnaliamo con prontezza i sintomi che ci sembrano strani. Bisogna parlare subito, nascondere non serve a nulla».
PREVENZIONE? Sarà pure così, ma la verità è che pure a Ottana - in provincia di Nuoro sono decine i focolai segnalati - la campagna di vaccinazioni è cominciata solo quando è scoppiata l'epidemia. Finora, semplicemente, la Regione non ha pensato alla prevenzione. «Ma se è vero che la profilassi va pianificata - dice Antonio Straullu, direttore del Servizio di sanità animale dell'Asl di Nuoro - occorre anche dire che non si può prescindere dalla collaborazione degli allevatori che, nelle loro aziende, devono intervenire per far sì che l'insetto non proliferi. Come? Prosciugando le pozze d'acqua inutili, o spargendo i cumuli di letame per farli essiccare. Questi insetti volano per un massimo di 500 metri. Quindi, ciascun allevatore, può fare molto per contribuire alla lotta contro la lingua blu».
Piera Serusi

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