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L'unione sarda. Le cinque A di Prato per cambiare

«Per adesso è soltanto un programma, per il futuro si vedrà»

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«Per adesso, è solo un programma», sostiene Andrea Prato, quarantotto anni, nato a Cosenza ma sardo d'adozione, ex assessore regionale dell'Agricoltura. Ma non è detto che non diventi il manifesto elettorale di un aggregato di forze politiche trainate dal Quinto Moro, la formazione fondata da Prato con la consulenza del pubblicitario Gavino Sanna. «Chissà, forse, un domani». Ma domani è adesso. A febbraio si vota, trascorse le “vampe” d'agosto, ormai agli sgoccioli, l'attività politica riprenderà a pieno regime e sarà il momento delle decisioni. Per tutti.
Prato, può illustrare la sua idea?
«Ho stilato un programma basato su cinque A: accessibile, accogliente, agricola, apartitica, aperta. Io immagino così la Sardegna del futuro».
Iniziamo con accessibile.
«Parlo dei trasporti, che devono essere più efficienti e meno cari. Ho un'idea semplice: la Regione compra i cinquemila posti vuoti sui traghetti dei mesi che vanno da aprile a ottobre, tranne quelli del tutto esaurito di luglio, agosto e settembre. E poi li rivende a 15-25 euro (quattro persone più auto) ai turisti attraverso i pacchetti delle agenzie di viaggio. Un'operazione da 4,5 milioni di euro gran parte dei quali rientrerebbero nelle casse della Regione. Ottenendo, però, il tanto sognato allungamento della stagione turistica».
Sembra l'uovo di Colombo. Ma funzionerebbe?
«Sì. Più turisti significa più consumo dei nostri prodotti e, quindi, alimentare quelle che si definiscono “esportazioni interne”. Un altro significativo risparmio si otterrebbe sopprimendo rotte inutili come la Cagliari-Trapani e potenziando quelle strategiche, come la Cagliari-Civitavecchia o l'Olbia-Genova».
Con accogliente che cosa intende?
«Infrastrutture nuove e una quattro corsie che da Bastia porti a Cagliari, attraverso un collegamento navale a basso costo Bonifacio-Santa Teresa di Gallura. Sardegna e Corsica, due isole che si guardano in faccia e non collaborano. Un'assurdità. E poi, rilanciare l'edilizia, utilizzando i 25mila operai rimasti senza lavoro nella ristrutturazione del patrimonio pubblico».
Terzo punto: agricola. Sembra un'utopia.
«Non lo è. Abbiamo 250mila ettari incolti, seminiamo mais e colza per produrre bioenergia. Che aspettiamo?».
I partiti le stanno antipatici?
«Destra e sinistra sono finite. Smontiamo il palazzo. Anche qui, pochi numeri molto significativi: spese istituzionali 85 milioni; Consiglio regionale 68; stipendi dipendenti regionali e costo agenzie 730 milioni; Abbanoa 130 milioni; mutui per prestiti ottenuti in anni di grazia 137 milioni. In tre anni siamo passati da un bilancio di quasi 8 miliardi a uno di massa effettivamente manovrabile di circa 5,7. Ecco perché occorre una rivoluzione, ecco perché bisogna agire e non intervistare la gente per sapere da loro cosa bisogna fare. Bi semus?».
Lei vuole aprire la Sardegna. A che cosa?
«Alla Zona franca. E nessuno dica che non si può fare. Alle Canarie lo hanno fatto e sono diventati fortissimi esportatori di banane, con il 30 per cento del mercato europeo».
L'Europa lo consentirà?
«Deve. Il sistema studiato dai tedeschi ci sta strangolando, il potere economico è stato dirottato nella zona marco e mentre la Germania cresce, gli altri Paesi fanno la fame».
Italia compresa.
«Il modello Italia è fallito, l'impresa privata è in ginocchio. Quando mancheranno i soldi per pagare gli statali sarà il finimondo. Bisogna fare qualcosa di serio prima che accada».
Ivan Paone

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