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L'unione sarda. La tradizione scivola sul ricamo

Franca Rosa Contu: troppi costumi vengono confezionati male

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NUORO Diversi verranno sfoggiati alla sfilata del Redentore, domenica prossima. Abiti tradizionali cuciti male, troppo lunghi troppo larghi o troppo stretti. Colori sbagliati e fogge male assortite. Ricami che non c'entrano nulla, copricapi mai visti e acconciature approssimative. Il cattivo gusto, nel mondo del folk e dell'abbigliamento tradizionale, è una iattura che si alimenta e si rigenera giusto durante le grandi manifestazioni. Con i figuranti vestiti in maniera appropriata, non mancherà la passerella dei male agghindati. E nella classifica degli abiti sbagliati, a parte qualche luminosa confezione, ai primi posti c'è Nuoro.
L'ETNOGRAFICO «Purtroppo, in tutta la Sardegna, sono diversi gli esempi, anche se devo dire che, dopo gli anni Settanta, Ottanta e i Novanta in cui sono stati fatti tanti danni, sta maturando una certa consapevolezza riguardo il valore del nostro patrimonio culturale». Franca Rosa Contu, responsabile del settore musei dell'Istituto Etnografico regionale che ha sede a Nuoro, è un'autorità in materia. Dal suo osservatorio, segue il fermento legato alla ricerca e allo studio sugli abiti tradizionali. Ma vede pure gli scempi e le pessime riproduzioni di indumenti e accessori. «Abbiamo contatti e richieste di consulenza da tutta l'isola. Noi siamo a disposizione di chi ha necessità di un consiglio - spiega -. Non diciamo: dovete fare così e basta. In questa materia, diversamente da quanto comunemente si pensa, l'integralismo è assolutamente fuori luogo, anche perché il costume, di per sé, è il prodotto di un'evoluzione. Spieghiamo, piuttosto, aiutiamo i nostri interlocutori a capire il perché di determinate fogge, tessuti, ricami. Studio e ricerca aiutano a difendersi da certe sedicenti sarte che, solo per trarne profitto, molti danni hanno fatto e stanno facendo».
LA GALLERIA DEGLI ORRORI E molti esempi li troviamo proprio a Nuoro. «Qui sono tanti gli abiti maschili fatti male. Il giubbetto, su zippone , è spesso sbagliato nel taglio, nella rifinitura, con il bordo di raso di merceria invece che in gros di seta. Le uose, che venivano fatte su misura, ora cascano. I nuoresi, poi, sono i più refrattari all'uso della berrita. Perché? È stata eliminata quando si è cominciato a indossare l'abito tradizionale unicamente per le manifestazioni folk. Ancora negli anni '50, gli ultimi vecchi che indossavano il costume portavano sa berrita e, sopra su zippone , il cappotto d'orbace o il gilet di pelliccia o astrakan». Il cattivo gusto - spesso alimentato, a dire il vero, dall'attenzione al risparmio sul costo dei tessuti e dei materiali - ha intaccato pure l'abbigliamento femminile. «Così - puntualizza l'esperta - nonostante l'abbondante documentazione iconografica che potrebbe dare modo a chiunque di documentarsi, vediamo abbinamenti maldestri, di una faciloneria impressionante». Insomma, boccia i nuoresi? «Non li boccio e non li promuovo, altrove è uguale. Dico che c'è tanto da fare, ma vedo che adesso una certa qualità della ricerca la si può constatare anche qui da noi».
GLI ABITI INVENTATI Il peggio del peggio è l'abito inventato di sana pianta. Franca Rosa Contu, che da qualche anno commenta in diretta per Videolina l'abbigliamento dei gruppi che partecipano alla sfilata del Redentore, una volta criticò a microfono aperto l'abito di Alghero. «È inventato di sana pianta», disse. «Quello era un abito di scena - puntualizza - e non la riproduzione dell'abito tradizionale. Occorre essere chiari». Poi, giusto per chiarire la differenza, c'è magari la vecchia di Desulo che al posto della gonna di orbace ne indossa una di gabardine rossa. «Non è certo da stigmatizzare. Sono le mutazioni del costume legate alla vita quotidiana. Le evoluzioni che ci sono sempre state nella storia dell'abbigliamento».
Piera Serusi

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