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L'unione sarda. «Non volevo uccidere Matteo»

ESCOLCA. Ezio Murtas domenica ha colpito con due fucilate il figlio durante un litigio

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di Andrea Manunza
ESCOLCA «Allora....lui stava lì, a pochi passi da me...io tenevo il fucile in mano, avevo paura...era da un po' che avevo paura di Matteo, tanto che da anni ormai la notte io e Lisetta dormivamo con la porta della camera da letto chiusa a chiave. Però mai avrei fatto del male a mio figlio. È stata una disgrazia». Seduto davanti al suo avvocato Gennaro Di Michele nella sala colloqui del carcere di Buoncammino a Cagliari, tra una pausa imposta dall'emozione e i lunghi momenti di lucidità il pensionato Ezio Murtas riordina le idee e con la memoria torna indietro di 24 ore, alla mattina che ha stravolto l'esistenza di un'intera famiglia. La sua. Il figlio quarantenne steso a terra in un pavimento inondato di sangue, la moglie sotto choc appena rientrata dalla chiesa e lui arrestato e incriminato per omicidio volontario.
L'OMICIDIO Un dramma avvenuto alle 10,30 di una domenica calda e silenziosa in un appartamento al centro di Escolca, piccolo paese che conta 600 anime nel quale tutti conoscono tutti. E tutti infatti sapevano dei problemi di questo 79enne ex amministratore comunale con un erede di tutt'altra pasta: disoccupato, in passato arrestato due volte e con il vizio della droga. Abitudine che lo spingeva a chiedere giornalmente denaro ai genitori, soldi sempre insufficienti: «Prendeva tutto quello che trovava a casa». E così erano frequenti le liti e «le aggressioni», episodi che avevano portato Ezio Murtas e la moglie a presentarsi più volte in caserma per chiedere aiuto ai carabinieri. Poi, due giorni fa, l'ultimo passo: Matteo Murtas, appena rientrato da un bar poco distante, aveva nuovamente chiesto contanti al padre prima di uscire un'altra volta. I due si sono affrontati e la discussione è degenerata, fino alle due fucilate mortali. Ma quel che è accaduto tra il faccia a faccia e gli spari ha originato due versioni opposte.
LE ACCUSE Secondo i militari della Compagnia di Isili e la Procura di Cagliari il pensionato 79enne ha ucciso volontariamente: per sua stessa ammissione, quella mattina Matteo Murtas l'aveva minacciato sostenendo di possedere una pistola e lui per reazione aveva imbracciato il fucile e fatto fuoco. Il quarantenne dal giardino sul retro dell'abitazione al numero 59 di via Vittorio Emanuele (sta al piano superiore: in quello inferiore c'è una banca ma un tempo il locale ospitava un bar della famiglia) era fuggito verso l'interno nel tentativo di uscire in strada crollando esanime prima di arrivare alla porta d'ingresso. Poi il padre aveva chiamato il 112 e avvisato i carabinieri: «Venite a prendermi, ho ammazzato mio figlio». L'uomo era stato trasportato in caserma, arrestato e poi trasferito a Buoncammino in attesa dell'udienza di convalida in programma domani mattina.
LE LITI Ieri però in carcere il pensionato ha sostenuto una versione ben diversa davanti al suo difensore. In un colloquio andato avanti per un'ora e mezzo, il pensionato ha fatto il resoconto di «25 anni di sofferenza» causati da un figlio che ha tormentato lui e la madre «da quando ne aveva quindici». Tutta colpa della droga e «della sua testa. Io per suo amore ho cercato di sopportare e risolvere i problemi, ma non ci sono riuscito». Respinta l'offerta di badare al bar della famiglia, un tempo aperto sotto casa, Matteo Murtas passava il tempo a ciondolare per il paese senza particolari scopi. Nel tempo «ha anche distrutto cinque auto», ha spiegato il padre, e solo ultimamente aveva trovato impiego in uno dei cantieri comunali. Ma la situazione familiare era addirittura peggiorata. «Ultimamente diceva di avere una pistola. Chiedeva i soldi tutti i giorni, da anni io e mia moglie dormivamo con la porta della camera da letto chiusa a chiave per paura di nostro figlio».
«NON VOLEVO» Domenica l'ultimo, definitivo episodio. I due si trovano sul giardino nel retro della casa, il quarantenne ha appena chiesto altro denaro. «Io gli ho detto di darmi la pistola spiegandogli che con quella poteva fare solo danni. Era a pochi metri di distanza e io tenevo il fucile in mano per paura. Insultava spesso mia moglie, ci aggrediva. A un certo punto ha afferrato un pezzo di legno e me l'ha lanciato contro colpendomi all'addome. Poi me ne ha tirato un secondo e mi ha preso al braccio. La botta ha fatto partire la fucilata che ha colpito Matteo. Lui si è avvicinato, c'è stata una colluttazione ed è partito il secondo colpo, ma l'arma era puntata verso terra. A quel punto si è allontanato ed è crollato davanti alla porta di casa». Una fatalità: «Non avrei mai fatto del male a mio figlio». Starà al gip Giuseppe Pintori valutare l'attendibilità di questa versione domani nell'udienza di convalida, mentre oggi il medico legale Roberto Demontis farà l'autopsia. Il difensore Gennaro Di Michele ha preannunciato la richiesta di immediata scarcerazione.

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