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L'unione sarda. Terzo attentato, il sindaco lascia

Graziano Deiana: ora il paese decida se vuole un futuro

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Dal nostro inviato
Piera Serusi
MAMOIADA «Io ho l'età per ricordare cos'era, il mio paese...».
Il tempo della faida.
«Appunto. Mamoiada deve decidere se vivere come una comunità impaurita o ribellarsi contro chi impone la logica della violenza. E, attenzione, io non parlo di ciò che è successo a me. I sindaci vanno e vengono. È il futuro del nostro paese ciò che va salvato, ciò a cui non si deve rinunciare. Qui nessuno, nessuno dovrà avere mai più paura».
A mezzogiorno, dopo una riunione del Consiglio convocata di prima mattina, il sindaco Graziano Deiana - reduce dal terzo attentato - ha presentato le dimissioni. Nella notte tra venerdì e ieri qualcuno ha lanciato una molotov nel cortile della sua abitazione, in mezzo alle auto. Erano le due. È stato lui stesso, sentito un forte botto, a uscire e a spegnere l'ordigno. Graziano Deiana ha strappato via dalla bottiglia lo straccio dell'innesco. «Qui, in mezzo a tutte queste macchine, con le case addossate l'una all'altra - spiega - sarebbe potuto succedere un disastro». Così, dopo l'incendio del casolare di campagna nell'agosto 2010 e la fucilata contro la finestra della sua casa il 3 novembre scorso, il sindaco di Mamoiada colleziona la terza intimidazione nel giro di due anni.
PAURA DEL PASSATO Sessantuno anni, fede comunista, la leggerezza e la profondità di un poeta, Graziano Deiana guida il comune da tre legislature (prima come vice, poi come primo cittadino). E in quindici anni, occorre sottolinearlo, il paese che contava i morti ammazzati caduti come mosche è cambiato da così a così. Due musei (uno, quello delle Maschere mediterranee conosciuto in mezzo mondo), le cantine che producono vini premiati ovunque, i laboratori artigiani. Roba ben diversa dal piombo e dal sangue, e dalle paginate di cronaca nera sui giornali. Da un paio d'anni, però, qualcosa sta accadendo in questo centro di 2600 abitanti nel cuore della Barbagia dove le intimidazioni, le rapine, i furti nelle case, le grassazioni in campagna sono ormai all'ordine del giorno.
LE SCRITTE «È bella la via nuova. E il lavoro?». La scritta, vernice nera, è comparsa ieri all'alba lungo una delle vie del centro, assieme a uno scarabocchio tipo rivendicazione anarchica che ha imbrattato la facciata della chiesetta attigua al Municipio, lungo il Corso dove è aperto il cantiere per il rifacimento del fondo stradale. L'altro cantiere, qui a Mamoiada, conta tre operai (selezioni, ovviamente, fatte dal Centro servizi lavoro della Provincia) che stanno sistemando i marciapiedi. Per il resto, figurarsi. «Questo - puntualizza il sindaco Deiana - non è un paese dove l'attività amministrativa possa toccare interessi particolari». Il cancro, a Mamoiada come in altri centri della Barbagia, è ben più profondo. È la malattia di una terra dove la bomba al Comune, la fucilata sulla porta del sindaco, le scritte minatorie contro l'assessore vengono archiviate con la passerella dei comunicati istituzionali di solidarietà e buonanotte. Chi porta la fascia tricolore, alla fine, resta da solo in trincea.
LA SOLIDARIETÀ Stasera, alle 17, il consiglio comunale straordinario durante il quale il primo cittadino presenterà le sue dimissioni già protocollate. E c'è da scommetterci: ci sarà tutto il paese, come è stato martedì scorso durante la fiaccolata organizzata dopo l'intimidazione del 3 novembre. Un grande abbraccio della comunità e poi, tre giorni dopo, la molotov che piomba nel cortile di casa. «È vero, ho potuto constatare la vicinanza della comunità. La manifestazione di solidarietà, la partecipazione al dolore degli altri è fondamentale. Ma una volta che ce lo siamo detti, ognuno di noi torna a casa: ecco, in famiglia, sotto il nostro tetto, parliamo, ce lo diciamo in tutta franchezza che cosa vogliamo fare domani?».
Dimissioni irrevocabili.
«Io non voglio vivere come un uomo, come un amministratore in difesa, votato a parare i colpi del nemico. Non voglio vivere nella paura. E non voglio, soprattutto, che Mamoiada viva come un paese condizionato dalla paura».
Lei non chiede l'invio di più carabinieri?
«No, a me i discorsi legati alla sicurezza non interessano. Io ho solo bisogno di capire se questo paese sente o meno la necessità di difendere il proprio futuro e tutto ciò che ha costruito come comunità civile e laboriosa. Mamoiada deve fare una scelta. Deve decidere se rassegnarsi o alzare la testa».

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