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L'unione sarda. Tredici anni di calvario, è morta Antonella Giua

NURAMINIS. Era in coma a Bergamo dopo il parto

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Per tredici anni ha lottato contro la morte, contro quel coma che i medici, allora (era il marzo del 2000), avevano classificato, con impietosa diagnosi, irreversibile. In questo terribile stato vegetativo Antonella Giua, la giovane mamma ventisettenne di Nuraminis diventata bergamasca d'adozione dopo il matrimonio con un agente di commercio, era finita in seguito a un intervento di raschiamento eseguito una ventina giorni dopo aver dato alla luce un bimbo. Nella sala operatoria degli Ospedali Riuniti di Bergamo, l'errore fatale. Alla donna venne somministrato protossido di azoto anziché ossigeno a causa di un distacco del tubo.
Respirò quel gas per lunghi, interminabili dodici minuti e finì in coma, senza che nulla i medici potessero fare per evitare le gravissime conseguenze scatenate dall'inalazione.
Antonella Giua, che viveva alla Celadina con il marito, è morta al Don Orione, dove era stata ricoverata dopo il raschiamento. Per tutti questi anni il marito Ermanno Cereda non ha mai smesso di vegliarla, trascorrendo al capezzale della madre del loro splendido figlio, Antonio, oggi tredicenne, studente alle scuole medie, intere giornate, forse anche con la speranza nel cuore che la sua amatissima compagna potesse prima o poi svegliarsi, riprendere a sorridere come se il buio del coma fosse stato solo un lungo incubo. Per riabbracciare quel ragazzo che non aveva mai potuto stringere forte, veder crescere, amare.
Per abbracciare suo marito.
«No, non siamo ricaduti nel dolore, il dolore non ci ha mai abbandonati neppure un momento in tutti questi anni», dice la sorella di Antonella Giua, Annamaria, che vive a Nuraminis, il paese dove risiede anche l'anziana madre ottantunenne. «Mio cognato Ermanno è stato, è un marito eccezionale. Un uomo che ha amato con forza Antonella e che per tredici anni non le ha mai fatto mancare la sua presenza, il suo affetto, il suo rispetto. Per tutto questo periodo in cui mia sorella è rimasta in coma, Ermanno non l'ha lasciata sola neanche per un attimo. Per tre, quattro volte la settimana stava al fianco di Antonella, in ospedale. Anche Antonio ha fatto lo stesso. Sua madre l'ha sempre conosciuta così, immobile in quel letto».
Un incidente finito sui tavoli della magistratura. Fu il pubblico ministero Carmen Pugliese a occuparsene. L'anestesista presente in quel momento in sala operatoria, Roberto D'Amicantonio, il primario di Anestesia Giuseppe Ricucci, e il responsabile della manutenzione, Alberico Casati, furono accusati di lesioni colpose gravissime. Il pm contestava all'anestesista il non aver monitorato correttamente la paziente, al primario l'aver permesso di eseguire l'anestesia con un macchinario non in perfetto stato (il Toy), privo di meccanismi adeguati di sicurezza; all'ingegnere della manutenzione infine il non aver fatto le opportune verifiche. I tre medici hanno sempre respinto le accuse. A giugno del 2004 il giudice Giovanni Gerosa li aveva giudicati in primo grado colpevoli, condannando D'Amicantonio a ventidue mesi di reclusione, Ricucci a 200 euro di multa e Casati a 300 euro di sanzione, concedendo a tutti la sospensione condizionale della pena. Adesso il caso si riapre.
Andrea Piras
(ha collaborato Ignazio Pillosu)

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