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L'unione sarda. Beni culturali, scrigno da scoprire

L'allarme del sindacato: ricchezza da sfruttare per la crescita della Sardegna e l'occupazione

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Aprite quello scrigno. C'è dentro una ricchezza che può aiutare la Sardegna a risalire la china, soprattutto ora che con la crisi non si sa dove girarsi: centri storici, siti archeologici, chiese, musei, biblioteche, archivi sono gli ingredienti che arricchiscono il settore dei beni culturali. Un business che l'Isola non ha saputo ancora sfruttare, complice il disinteresse dello Stato (che alla cultura destina appena lo 0,2% della spesa pubblica annuale) e della Regione. Un patrimonio, tutto “made in Sardinia”, che si potrebbe trasformare in un volano dello sviluppo, in milioni di euro per ridare fiato all'asfittica economia isolana.
I DATI È la Cisl sarda a mettere il dito nelle piaghe del settore, ricordando quanto vale il patrimonio culturale isolano e quanto è in grado di incidere sul futuro economico dell'Isola. I dati lasciano ben sperare. I beni culturali, infatti, danno un significativo aiuto alla crescita del territorio, contribuendo a far lievitare il valore aggiunto regionale di circa il 3,8%, in percentuali che (dati 2012, dal Rapporto Unioncamere-Fondazione Symbola 2013) variano dal 5% della provincia di Oristano (quella che dà il più alto apporto) al 2,7% della provincia di Sassari. Ma da tutti i territori arriva il giusto apporto: Ogliastra (4,4%), Medio Campidano (4,3%), Nuoro (4%), Cagliari (3,9%), Sulcis Iglesiente (3,4%), Olbia Tempio (2,9%). «Numeri - sottolinea Ignazio Ganga, segretario regionale della Cisl - che attestano un potenziale di crescita inespresso di tutto rilievo, sul quale andrebbe messo in campo un rinnovato interesse nell'ambito di un progetto di sviluppo dell'Isola, finalizzato al rilancio della crescita e dell'occupazione». Significativa è anche l'incidenza delle imprese del sistema produttivo culturale: i dati delle Camere di commercio evidenziano il peso maggiore a Cagliari (il 7,4% del totale delle aziende iscritte) e Sassari (il 6%), ma anche Nuoro (il 5,5%) e Oristano (5,3%) fanno la loro parte. Un sistema dal quale nascono varie opportunità di lavoro.
POSTI DI LAVORO Attorno alla cultura e ai suoi beni più preziosi ruota infatti un interessante bacino di 670 operatori ministeriali, fra dirigenti, funzionari e operai. Numeri che hanno un peso sull'occupazione totale dei diversi territori: il 5,3% in Ogliastra, il 5,1% a Oristano, il 4,9% a Nuoro, il 4,8% a Cagliari, il 4,2% nel Medio Campidano e nel Sulcis, il 3,9% a Olbia Tempio e il 3,5% a Sassari. «Ma per poter svolgere adeguatamente le proprie funzioni a tutela del nostro sistema culturale - denuncia Ganga - servirebbero non meno di altre 156 figure professionali, peraltro richieste dalle piante organiche del dipartimento dei beni culturali della Regione che prevedono 826 dipendenti».
POTENZIALITÀ Non solo. Altri mille operatori sono agganciati al sistema dei beni culturali non statali: lavoratori organizzati in forme e modi differenti (dalle cooperative di servizi ai consorzi, alle società) ma che senza la necessaria spinta delle istituzioni («anche attraverso una legge specifica che giace in Consiglio regionale») difficilmente, ritiene il sindacato, verranno stabilizzati: l'80% è impiegato con contratti a termine e senza garanzie sulla puntualità delle retribuzioni. «Si tratta - conclude Ganga - di superare una certa insensibilità di parte della classe dirigente di quest'Isola che non riesce a intravedere nei beni culturali il motore primario di una nuova stagione di crescita e di sviluppo».
Carla Raggio

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