Partecipa a labarbagia.net

Sei già registrato? Accedi

Password dimenticata? Recuperala

L'unione sarda. «Spesso è ottimismo deluso»

LO PSICOLOGO. Porru: chi rinuncia alla vita si illude di risolvere i problemi

Condividi su:

QUARTU «Il suicida è un ottimista che dentro di sé non ha trovato il giusto “però”. Se fosse riuscito a scovarlo, quel “però” che c'è sempre, immediatamente avrebbe rinegoziato domande e risposte e per tutta la vita sarebbe stato grato a se stesso di non essersela tolta». L'affermazione apparentemente paradossale (motiva il suicidio con l'ottimismo), proietta un cono di luce su uno degli aspetti meno comprensibili dell'animo umano: quello dell'autodistruzione, al quale gli altri attribuiranno poi cause quasi mai vere.
Ad accendere quel faro è Giovanni Porru, responsabile del Servizio psicologico dei Servizi sociali del Comune di Quartu, il territorio dove le due artiste hanno deciso (riuscendoci in un caso) di concludere le proprie vite. Porru, premesso che il suo discorso è «generale» perché non ha mai incontrato le due ragazze, spiega: «Una persona si toglie la vita quando l'emotività, e non la logica, guida le sue azioni, quando utilizza il pensiero meccanicamente, come si usano mani e piedi».
Però, dice che il suicida è ottimista: «Forzando un paragone, si può dire che è la stessa molla che porta un giocatore d'azzardo patologico a ritentare la fortuna: pensa che il prossimo tentativo sarà fortunato e che smetterà di soffrire, invece va in rovina. Allo stesso modo, il suicida pensa che togliendosi la vita risolverà tutti i problemi e smetterà di soffrire, invece non soltanto non avrà risolto i problemi, ma avrà consentito loro di ucciderlo». A usare il pensiero come se fosse un piede, aggiunge lo psicologo, e a consentire che sia l'emotività a guidare le proprie azioni sono i depressi: ogni suicida lo è.
«Quel che non è più in grado di capire», spiega Porru, «è che la depressione è tutt'altro che invincibile: molte persone l'hanno sconfitta, moltissime altre hanno imparato a conviverci e la gestiscono. Il vero problema è convincere un depresso a rivolgersi a uno psicologo: il suo unico pensiero è che tutto andrà male, che nessuno può aiutarlo, e alla fine il suo pensiero sbagliato diventa verità assoluta. Su cento potenziali suicidi che incontro, ottanta non ci tenteranno mai più e ritroveranno il gusto, oltre che il senso, del vivere. Gli altri venti continueranno, ma per la gran parte i loro tentativi saranno atti dimostrativi per gridare la propria esistenza». Questo, però - avverte Porru - vale solo per i pazienti che un familiare o un amico riesce a trascinare davanti a uno specialista. Gli altri, invece, restano soli. Con la malattia.
Luigi Almiento

Condividi su:

Seguici su Facebook