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L'unione sarda. Insulti razziali nella partita contro il Taloro

NUORO. Caso da chiarire

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NUORO Un episodio di razzismo sarebbe accaduto sabato nello stadio di Nuoro, nei minuti finali del derby tra Nuorese e Taloro Gavoi, match di ritorno del primo turno della coppa Italia di Eccellenza. Sul risultato di uno a uno, che in quel momento premiava la squadra di casa, il numero 5 degli ospiti Giuseppe Silvetti avrebbe apostrofato con un insulto a sfondo razzista il giocatore nigeriano della Nuorese Peter Nnamani. «Negro di merda, mi ha detto - racconta al telefono l'atleta africano -. Purtroppo non è la prima volta che mi succede sui campi di calcio, quasi ci sono abituato. Comunque fa sempre male. Era il numero 5, lui è un giocatore come me, non è giusto che mi insulti. Non so se ha sentito qualcun'altro. Io ho subito richiamato l'attenzione dell'arbitro che mi ha detto di non aver sentito».
SUL CAMPO Erano momenti di gara concitati: il Taloro pressava nella propria area la Nuorese per cercare il gol della vittoria e del passaggio del turno. Un episodio grave se vero, ancora tutto da confermare visto che dall'altro versante la versione è completamente diversa.
ALTRA VERSIONE «Ho la coscienza a posto - dice un cordiale Giuseppe Silvetti - la cosa che più mi dispiace è che non c'era nessuno vicino a noi in quel momento che possa confermare la mia lealtà. Una cosa posso dire: in quel momento era lui (Nnamani ndr) che mi provocava sputandomi e mordendomi, mi ha aspettato a fine gara davanti ai fotografi per aggredirmi e questo lo possono confermare in molti. Voglio aggiungere solo un'altra cosa a questa brutta parentesi che pensavo chiusa alla fine della partita: ho moltissimi amici di colore e non mi sognerei mai di insultare nessuno». A prendere le difese del giocatore anche il presidente del Taloro Salvatore Buttu che dice: «Casco dalla nuvole, l'unica cosa che ho visto è che Nnamani ha inseguito Silvetti in maniera vergognosa e lo voleva provocare. Silvetti è persona seria, quello che è successo realmente in campo lo sanno solo i giocatori che erano là».
Fabio Ledda

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