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L'unione sarda. «Santità, gradisce un caffè?»

Il ciabattino Silvio Murgia invitò il pontefice nella modesta casa di Sant'Elia Aveva sei figli e la moglie Graziella paralizzata a letto dalla misteriosa Sla

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di MAURO MANUNZA
«Benvenuto, Santità… Prego, si accomodi dentro casa».
Quante persone, al mondo, possono dire di aver pronunciato una frase del genere? Una. Soltanto una: Silvio Murgia. Aveva quarant'anni, sei figli, la giovane moglie paralizzata a letto in una piccola e umida casa del vecchio borgo Sant'Elia catalogato come quartiere-ghetto di Cagliari. Il benvenuto non era rivolto a un ospite qualunque: era il Papa in persona a presentarsi "con umiltà" a quell'umile abitazione. Erano da poco passate le 16 del 24 aprile 1970 e l'emozionatissimo Silvio entrava nella storia della città come coprotagonista di un evento di portata internazionale. Dietro il pontefice Paolo VI c'erano giornalisti e fotoreporter giunti da Francia e Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti.
Giovanni Battista Montini era il primo papa a venire in Sardegna per visita pastorale. Aveva scelto il sesto centenario del leggendario approdo della statua della Madonna con Bambino sotto il colle di Bonaria, ebbe una faticosa giornata di incontri con maree di fedeli e prima di riprendere l'aereo per tornare in Vaticano concluse il programma con una tappa che aveva disposto in modo irrinunciabile: un incontro con persone povere, magari ammalate. Silvio Murgia è morto sette anni fa, dopo una vita dedicata ai figli e all'amore per la moglie: prima assistendola e poi ricostruendone la figura e la malattia in un commovente libro che nessuno voleva pubblicare e che infine fu stampato dall'Artigianarte Editrice di Cagliari con il significativo e sorprendente titolo: "Santità, gradisce un caffè?". Sottotitolo: "Un uomo, un quartiere: una storia di speranza". Racconto splendido, emozionante, scritto in modo spontaneo e limpido, nonostante l'autore non vantasse studi oltre le elementari.
IL PASTORELLO Originario di San Vito, era stato pastorello di capre prima di emigrare in città dove mise su famiglia sposando una ragazza di Muravera, Graziella. Lui lavava vetri per una piccola azienda privata: si definiva «misero pulivetri e ciabattino a tempo perso». Per arrotondare aggiustava scarpe nell'improvvisato laboratorio nella minuscola casa assegnatagli dal Comune. Daniela, ultima della schiera di figli, aveva due anni quando la mamma si ammalò. Graziella era stata colpita da un morbo misterioso, un «male oscuro quanto impietoso» (parole del marito) che ebbe le più svariate e inutili diagnosi mediche. Solo oggi si può dire che Graziella morì (nel 1971) per sclerosi laterale amiotrofica, la temutissima Sla, all'epoca un male quasi misterioso.
Ma perché toccò proprio a lui ricevere il Papa in casa? Per molto tempo quella scelta fu un mistero per tutti, poi l'origine e gli sviluppi si conobbero dallo stesso Silvio. In buona sostanza, fu egli stesso ad autocandidarsi: inconsapevolmente. Quando lesse sull'Unione Sarda che Paolo VI intendeva visitare «qualche ammalato di un rione povero della città», ne parlò con la moglie, che non poteva sollevarsi dal letto e ormai non riusciva quasi parlare. Per incoraggiarla disse: «Graziella, verrà il Papa a trovarti». Lei non rispose né cambiò espressione. «Ma come, non dici nulla? Se ci rifletti un po' vedrai che ti riguarda! Segui il mio ragionamento…». Cioè: «Questa è la più povera borgata della città, tu sei una delle più ammalate che ci siano, siamo gente onesta e senza colorazione politica… È il tuo momento, Graziella».
IL SEGRETO Il piccolo Sandro udì. Poi chiese al babbo se davvero sarebbe arrivato il Papa in casa. Lui disse no, anzi, gli fece promettere di tenere la bocca chiusa. Infatti… nello stesso pomeriggio il bambino rivelò il "segreto" al catechismo. Nel volgere di 24 ore il quartiere era un subbuglio. Il passaparola arrivò a parroco, Giseppe Aramu, che s'infastidì perché «non ne sapeva nulla»; andò a trovare i Murgia, Silvio si scusò, ma il sacerdote aveva ormai verificato le reali condizioni della famiglia e corse in Curia, aprendo la strada giusta. Arrivarono don Piseddu fiduciario dell'arcivescovo, quindi lo stesso cardinale Sebastiano Baggio, poi cardinali Dell'acqua e Villot, e poi ancora e ancora e ancora (prelati, funzionari, giornalisti, polizia, gente della borgata in processione per dare consigli…).
LA VISITA Paolo VI arriva a piedi, lentamente accompagnato da don Aramu, dal sindaco Paolo De Magistris, poliziotti in borghese, fotografi, giornalisti, cinefotoperatori, e una folla rumorosissima e tripudiante. Sale la scalinata esterna. Sull'uscio il ciabattino emozionato, impaurito, preoccupato («…ma cosa devo dire?») accoglie il Pontefice con uno spontaneo «Benvenuto in mezzo a noi, Santità». Il Papa cerca di parlare con Graziella, che piange in silenzio. Sta per sedersi, ma sulla sedia sbagliata: traballante. Silvio con un balzo gli cinge i fianchi per fermarlo e con un piede avvicina la sedia che Susi aveva preparato con un cuscino. L'ospite siede, e Silvio con estrema spontaneità gli si rivolge ancora: «Santità… gradisce un caffè?». Il Papa risponde «No grazie, non possiamo accettare nulla».
IL CAFFÈ È molto colpito e commosso. Regala al ciabattino un Vangelo con dedica autografa, a Graziella una statuina della Vergine col Bambino, un rosario, una carezza e una particolare benedizione; rosario anche per Susi (figlia maggiore, seconda mamma per i fratellini); a Stefano, Sandro, Anna, Paolo e Daniela ricevono ciascuno una catenina d'oro con medaglia-ricordo. E una grande scatola di dolci che la piccola Daniela di getto apre, guadagnando la fulminante occhiataccia di Susi. Per Paolo un saluto particolarmente affettuoso, perché è nato nel giorno della proclamazione di Montini al soglio di Pietro e per questo gli è stato dato il nome scelto dal Papa.
Silvio ricambia con un disco di vinile: musiche di launeddas ascoltate mille volte con Graziella. Il Santo Padre gradisce. Indugia. «Addio, figlioli». Esce con lentezza, benedice la casa, benedice la folla che fuori grida "viva il Papa". Per alcuni anni i Murgia continuarono a ricevere visite (operai, monache, ambulanti, poveretti, ciarlatani) e lettere da ogni parte d'Italia e dall'estero.
LA FAMIGLIA Graziella è scomparsa circa un anno dopo la visita benedetta. Silvio l'ha raggiunta nel 2006, quando aveva 77 anni. I figli sono tutti sposati e hanno dato al ciabattino 17 nipoti. La statuina della Vergine è nell'appartamento di via Silesu, in uno dei palazzoni del nuovo quartiere Sant'Elia, dove la famiglia si trasferì quando il capofamiglia ebbe un posto di lavoro non precario e dignitosamente retribuito: "famiglio" al Comando militare marittimo. Ora in quella casa vive Daniela con il marito Silverio Saba (già amico d'infanzia) e la figlia Alessandra (psicologa disoccupata). E con tante memorie: ricordi dolorosi e ricordi belli di un momento che suo padre definì «una cosa che sa di biblico e fiabesco».

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