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La nuova sardegna. L’impegno di Bersani: «Un patto per creare lavoro in Sardegna»

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di Vannalisa Manca

SASSARI «Ci abbiamo proprio preso, sulle primarie non ci siamo sbagliati e non riesco a immaginare come saremmo se queste consultazioni non le avessimo fatte. Il distacco tra cittadini e istituzioni è forte, la sfiducia è tanta e la politica deve confrontarsi con la gente. Guidateci un po’ voi, devi capire dove ti porta la gente»: Pierluigi Bersani guarda con compiacimento dal palco del teatro Verdi la folla strabocchevole che ieri pomeriggio lo ha accolto tra applausi e sventolare di bandiere. Un’ovazione. Sassari è stata la penultima tappa del tour elettorale del segretario del Partito Democratico, candidato alle primarie del centrosinistra. Prima il comizio a Olbia, poi un tuffo tra i ricordi con la visita alla caserma dell’Esercito a Macomer, dove il giovane Bersani ha prestato il servizio di leva e dove ieri ha ripercorso i corridoi e le camerate. Più tardi, sempre a Macomer, un incontro con imprenditori al Centro polivalente di via degli Artigiani e in serata ha raggiunto Cagliari. Qui, ad accoglierlo, non ha trovato solo battimani di gradimento, ma anche un piccolo gruppo di operai dell’Alcoa e del popolo delle partite Iva che lo ha contestato, apostrofandolo con un «traditore», accusandolo di aver abbandonato il territorio. Il governo Monti. Il leader del Pd si rivolge alla comunità dei progressisti sardi «a cui rivolgerci anche per le altre consultazioni» e si lascia sfuggire, tra i sorrisi, la frase diventata ritornello del suo imitatore Crozza: «Non facciamo le primarie per pettinar le bambole! Perché non è finita qua, ci sono le elezioni politiche e non abbiamo bisogno di fuoco amico. Abbiamo già tanti avversari». Obiettivo, quindi, mettersi alla guida del prossimo governo. «Perché Monti ha ridato credibilità all’Italia nel mondo, ma c’è bisogno di cambiamento. Diciamola tutta: c’è un sacco di gente che non ci vuole alle Politiche, che ci vorrebbe come salmerie e portatori d’acqua di qualcun’altro. Ma noi siamo amici di tutti e parenti di nessuno, non abbiamo bisogno di essere messi al guinzaglio». L’imperatore Berlusconi. Il leader del Pd cita subito il suo nemico politico del centrodestra. Un Berlusconi «imperatore, col vassallo, i valvassori e i valvassini», che «suonava il piffero e la gente lo seguiva e se siamo arrivati a un punto estremo, dopo la Grecia, non è solo la crisi globale; sino all’ultimo ci hanno raccontato che tutto andava bene e invece eravamo in cima al baratro. Basta con le favole. E adesso Berlusconi è incerto se andare in Kenia o scendere in campo: mi sembra più che stia negli spogliatoi e mandi qualcun’altro a vedere se sia rimasto ancora il campo». Autonomie locali. Parla diretto e ricorda che «a Monti il Pd ha dichiarato lealtà, riconosciamo che ha portato stabilità, ma vogliamo un governo eletto dal popolo. Molte cose di quello che ha fatto Monti noi le avremmo fatte – e le faremo (dice con un sorriso) – diversamente». Quindi, riprendendo quanto sottolineato dal sindaco di Sassari, Gianfranco Ganau, intervenuto ieri sul palco del Verdi, insieme al presidente della Provincia Alessandra Giudici, ricorda uno degli “errori” di Monti che non ha dialogato con gli enti locali: «Diciamo che non c’è stato feeling. Considerare le autonomie come un intralcio che non consente di fare le cose è elitaria e sbagliata, gli enti locali sono una medicina, non una malattia. Dobbiamo metterci più uguaglianza e dobbiamo dare un po’ di lavoro. Ma il primo problema da affrontare dopo le primarie è quello dell’enorme sfiducia che cova in questo Paese e che rischia di disperdere energie per reagire». Istruzione. Un capitolo Pierluigi Bersani lo dedica all’istruzione: «Abbiamo più bisogno di scuola. Università e formazione sono la chiave per guardare al futuro. I giovani sono bombardati di informazioni, ma non è formazione e istruzione. Devi mettere l’insegnante a svolgere il suo ruolo, non puoi fare una storia di costi», e giù applausi anche quando dice che «il nostro slogan sarà formazione, università, ricerca». Moralità e lavoro. Sono le due parole che distingueranno il programma elettorale del Pd, per parlare di riforme istituzionali, legge sui partiti, contro la corruzione («e il falso in bilancio»), sui diritti della persona, sulla parità di genere («metà donne e metà uomini; diciamo più donne elette, più finanziamento ai partiti»), e «vorrei che i figli degli di stranieri, nati in Italia, diventassero cittadini italiani». Dramma occupazione. Si sofferma sul dramma Sardegna, Bersani. «Conosco le enormi difficoltà di questa regione che ha il record della disoccupazione giovanile, i problemi portati dalla deindustrializzazione, del turismo e dei trasporti, con la continuità territoriale che è andata com'è andata. Per questo il prossimo governo dovrà attivare un tavolo, un patto territoriale. Dobbiamo misurare tutte le politiche in ottica di quanto lavoro possono dare: energia, industria (le bonifiche vanno fatte),offerta turistica, valorizzazione delle risorse locali a cominciare da quelle agroalimentari. Ma soprattutto dovremo parlare coi territori, vedere assieme cosa si può fare. Se toccherà a me è questo che mi propongo, così come avevo già iniziato a fare quando ho fatto il ministro». Papa Giovanni. Parlando con i giornalisti Bersani ha risposto che «nella nostra testa ci sono grandi eredità, tra cui quella di Enrico Berlinguer che ci dice di ripartire dal rinnovamento morale del Paese, poi arriveremo al lavoro e a tutto il resto, ma se la politica non dà impressione di serietà, sobrietà e rigore, non si va da nessuna parte. Questo è il Berlinguer che abbiamo nel cuore». E anche Papa Giovanni che aveva un metodo per «poter cambiare le cose senza spaventare, come è oggi il compito dei riformisti». E risponde con una battuta a chi gli dice che deve contrastare il rottamatore Renzi: «Pensi che mi hanno chiamato usato sicuro».

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