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L'unione sarda. «Mai creduto al sequestro: volevano ucciderla, non rapirla»

Graziella Dore: mia sorella Dina negli ultimi tempi era nervosa

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«Un omicidio su commissione? Non so. Cosa dovrei pensare? Che qualcuno abbia voluto farle pagare qualcosa destinato a altri? Ripeto, non so. Se avessi avuto una spiegazione l'avrei riferita subito, ma non ce l'ho. Io sono sempre stata certa di una sola cosa: nessuno voleva rapire Dina. Volevano ucciderla». Graziella Dore, 51 anni, bidella alle Medie di Fonni, ieri pomeriggio ha risposto al telefonino durante la pausa pranzo con le colleghe. «No, ancora non ho letto il giornale, lo farò con calma appena rientro a casa. Mia figlia mi ha mandato un sms, e anche alcuni amici mi hanno avvisato. Adesso indagano per omicidio? Per me è una sorpresa anche perché ultimamente non sono più stata contattata dagli investigatori».
UN DELITTO SENZA MOVENTE La sorella di Dina Dore - la giovane mamma assassinata la sera del 26 marzo 2008 nel garage della sua casa di Gavoi - l'aveva detto fin dall'inizio agli inquirenti della Procura distrettuale antimafia e della Mobile di Nuoro e Cagliari (che indagavano per sequestro di persona a scopo di estorsione e morte come conseguenza del reato). «Volevano ucciderla», ha sempre ripetuto. Ma se per ricostruire un omicidio è sempre indispensabile un cadavere, è altrettanto vero che è necessario un movente. E Dina - donna precisa, metodica, abitudinaria, perfettina - non era tipa da pestare i piedi a qualcuno dentro il suo universo abitato dal marito, dalla piccola Elisabetta venuta al mondo appena otto mesi prima, dalla mamma e dai fratelli, dagli amici di sempre. «Era una persona tranquilla e io conoscevo bene la vita che faceva. Per noi tutti, la sua morte è stata un colpo. Mai nessuno di noi avrebbe immaginato fosse in pericolo».
SVOLTA NELLE INDAGINI Quattro anni dopo il delitto gli inquirenti, che nei giorni scorsi sono tornati nella casa di via Sant'Antioco a Gavoi (acquistata un paio d'anni fa da una coppia di giovani coniugi che vi si sono trasferiti), valutano una nuova ricostruzione del delitto: quando alle 18 e 40 del 26 marzo 2008 Dina Dore arrivò e parcheggiò la sua Punto rossa in garage, gli assassini (due o tre) l'attendevano nascosti in casa. La prima ipotesi era stata quella di un agguato avvenuto nel garage, con i killer che fino a quel momento dovevano essere appostati al buio, nel vicolo sul quale si affaccia l'abitazione. Ma, visto che nessuna porta e nessuna finestra era stata forzata, adesso gli investigatori mettono in conto pure l'ipotesi che chi ha ucciso la casalinga di Gavoi sia entrato nella palazzina usando le chiavi.
«LEI ERA NERVOSA» «Io non ho risposte. So solo che mia sorella è stata uccisa - ripete Graziella Dore -. Ricordo ciò che mi raccontava, che mi confidava. Ma non c'è una sola parola che mi faccia pensare. È vero, negli ultimi tempi era piuttosto nervosa; ne avevo parlato anche con nostra madre, ma avevamo convenuto sul fatto che tutto fosse riconducibile allo stress, alla stanchezza dovuta alle attenzioni da dare alla bambina».
LE INDAGINI Sono passati quattro anni e ancora non c'è la verità sulla morte di Dina Dore. I vicini di casa sono stati sentiti più volte, uno per uno. Anche nei giorni scorsi. Tutti confermano di non aver notato nulla di strano quella sera di marzo. Niente, nonostante la palazzina del delitto si affacci sulla via Sant'Antioco, stradina del centro storico dove difficilmente si passa inosservati anche perché c'è sempre qualcuno che scruta da dietro le tende.
IL DELITTO Nel garage della sua abitazione, Dina Dore venne uccisa sotto gli occhi della piccola Elisabetta, 8 mesi appena. Trentasette anni, casalinga, moglie del dentista Francesco Rocca, alle 18 e 40 era rientrata a casa con la bambina dopo una serata trascorsa dalla madre. Aveva appena parcheggiato la sua Punto rossa in garage quando due, forse tre uomini l'hanno aggredita. Il suo corpo è stato ritrovato dagli agenti della Scientifica alle 3 del mattino dentro il bagagliaio dell'auto: la testa avvolta nel nastro adesivo, un rotolo intero attorno ai capelli, agli occhi, al naso, alla bocca e al collo. Mani e piedi legati con lo scotch. Da sette ore era scattato l'allarme sequestro: alle 21 la piccola Elisabetta era stata trovata nel suo port enfant dal babbo, che era appena rientrato, e da una passante. L'ovetto con la piccola era stato poggiato per terra, poco distante dalla vettura.
L'AGONIA Dina è morta soffocata. L'autopsia ha rivelato quel che era stato chiaro fin dall'inizio: la donna si è difesa con tutte le forze, ha tentato di scappare (è stata colpita alla fronte con un oggetto contundente) e infine, avvolta come una crisalide nel nastro adesivo, è morta soffocata. Nella fuga i banditi, o almeno uno di loro, hanno percorso un tratto della via Roma, la strada principale che sta sotto l'abitazione della vittima: qui gli inquirenti hanno recuperato un rotolo di nastro adesivo uguale a quello utilizzato per soffocare e legare Dina Dore. E su un lembo di scotch che avvolgeva il corpo della vittima è stata trovata una traccia di saliva sulla quale sono state fatte centinaia di comparazioni di dna.
LA SALIVA DI DUE PERSONE È un campione non proprio ottimale perché è la saliva di due persone. Due dna, due distinte eliche di acido desossiribonucleico che rendono tanto più difficile il lavoro dei biologi della Polizia di Stato e dei Carabinieri di Roma. Comunque sia, su quel campione sono stati fatti finora ben 700 esami di comparazione con la saliva di altrettanti pregiudicati barbaricini. Test con esito negativo. La speranza, non è mai inutile ribadirlo, è che qualcuno parli. «Non è possibile che nessuno abbia visto. E credo che - sottolinea Graziella Dore - il silenzio sia alimentato solo dalla paura. Paura per la propria famiglia, per i figli. Io comunque non mi arrendo. Spero, voglio sperare con tutte le mie forze. Ci vorrà tempo, forse. Ma sono sicura che alla fine la verità verrà fuori. Queste persone non moriranno portandosi dietro un terribile segreto». Graziella e la sua famiglia lottano per avere giustizia. «Se Dina fosse morta per una malattia, ci saremmo rassegnati. Ma non è stato così...». Graziella, di dieci anni più grande, ricorda il giorno in cui la sorella è venuta al mondo. «L'ho vista nascere, a casa nostra». Non permetterà che Dina, vittima senza giustizia, continui a morire ogni giorno.
Piera Serusi

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