La linea rossa è stata superata e la Sardegna si prepara ad archiviare il 2012 con 103 mila disoccupati, 25 mila in più, registrati tra luglio e settembre, rispetto a quanti erano nello stesso periodo di un anno fa. È l'ultimo scherzo della crisi, emblema della fragilità di un'Isola livida per gli schiaffi presi.
E che tra luglio e settembre registra, in media, 602 mila occupati (13.600 in meno rispetto allo stesso periodo del 2011), con una flessione del 2% (il tasso di occupazione è passato dal 53,3% al 52,5%, contro una media nazionale stabile, a 56,9%). Senza considerare, poi, il fatto che l'Istat comprende tra gli occupati anche i cassintegrati (coloro che si trovano in mobilità sono invece classificati come disoccupati). Ecco, allora, il fotogramma scandito in pixel: dei 602 mila occupati, almeno 100 mila presentano contratti non stabili e 130 mila lavoratori oggi risultano coperti da ammortizzatori sociali di cui 23 mila in cassa integrazione in deroga e altri 10 mila coperti da cassa integrazione ordinaria e straordinaria (fonte Cgil).
IL CONFRONTO Certo, anche nel resto della Penisola il tasso di disoccupazione sale e tocca l'11,1% (al 36,5% per i giovani), in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto a settembre e di 2,3 punti nei dodici mesi, lasciando a terra il record di 2,9 milioni di persone. È il tasso più alto dal gennaio 2004. Ma in Sardegna lo stesso tasso si porta al 14,6% dal 12,4% di un anno fa. Quasi 5 punti in più rispetto al resto dell'Italia (ma non ancora ai livelli del Mezzogiorno, 15,5%). E la linea rossa è segnata.
QUADRO IMPIETOSO È uno scenario per certi versi inedito, quello che riguarda i nuovi disoccupati sardi, che secondo l'elaborazione del Centro Studi L'Unione Sarda (sui dati Istat) sono uomini che hanno perso un'occupazione e donne che per necessità si sono affacciate al mercato del lavoro perdendo lo status di “inattive”, per diventare disoccupate. Questo, spiega il Centro Studi, si desume dal fatto che l'intera riduzione delle “non forze di lavoro” - per l'Istat sono coloro che non cercano un posto come le casalinghe, i pensionati o i giovani scoraggiati - è della componente femminile, che quindi esce dal guscio per cercare. Ma non trova. L'occupazione femminile infatti cresce, ma di appena 2 mila unità, contro le oltre 13 mila unità maschili perse (i posti di lavoro andati in fumo si riferiscono interamente a occupati uomini).
I COMPARTI IN NUMERI Il leggero incremento dell'occupazione maschile in agricoltura (+4.300 unità) e negli altri servizi (+2.600) non copre neanche la perdita di occupazione nel commercio, alberghi e ristoranti (-7 mila). A quest'ultima, conclude il Centro Studi, si aggiunge però la riduzione dell'industria manifatturiera (-7.000) e delle costruzioni (-8.300), arrivando così a 15.500 occupati uomini in meno.
LO SCENARIO Un anno giocato su record negativi e caratterizzato da una popolazione sempre più anziana, più povera e gravata da un debito pubblico che cresce. Solo nel 2012 il rapporto debito/Pil è salito dal quasi 121% del 2011 al quasi 128% e secondo l'Ocse l'anno prossimo sfonderà il 130% per portarsi nel 2014 al 132%. L'unica volta nella storia d'Italia in cui raggiunse e superò tale valore fu nel 1919.
Una tegola sulle nuove generazioni, un ulteriore freno per i cosiddetti Neet, not in education, employment or training , coloro che non lavorano né studiano né frequentano corsi di formazione. Gli scoraggiati. Che oggi sono una nazione dentro la Nazione.
Emanuela Zoncu