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L'unione sarda. «Il dna? Nessuno l'ha chiesto»

Coro unanime in paese: pronti ai prelievi a tappeto

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Dal nostro inviato
Piera Serusi
GAVOI «E quale problema c'è? Il dna l'avevamo promesso. E l'avremmo pure dato, se solo ce l'avessero chiesto. Ma qui non è venuto nessuno». Ivan Urru, 39 anni, artigiano di Gavoi, era nelle fila dell'esercito di volontari che annunciò di voler mettere a disposizione degli inquirenti impronte digitali, capelli e tamponi di saliva purché si arrivasse a isolare al più presto gli assassini di Dina Dore. Sono passati quattro anni da quella sera del 26 marzo 2008 in cui la giovane mamma venne uccisa nel garage della sua casa. E mentre l'inchiesta vira decisamente sull'ipotesi di un omicidio premeditato (non ci fu un tentativo di sequestro, quindi), viene fuori che nessuno tra le centinaia di gavoesi che si erano detti disposti a rinunciare al diritto alla privacy, si è mai presentato per immolare il proprio corredo genetico in nome della verità.
OFFERTA SEMPRE VALIDA «In ogni caso, nessun problema - avverte Ivan Urru -; se mi viene chiesto, io il dna lo do». Lo darebbero tutti, assicurano qui a Gavoi. «Gli inquirenti, o chi per loro, organizzino un'assemblea per coinvolgere il paese e spiegare che nel mettere a disposizione il campione di saliva non c'è niente di invasivo». Graziella Mereu, 48 anni, presidente dell'associazione di soccorso Avos, ricorda bene quei giorni dopo il delitto. «Il dolore e lo sdegno non sono mai venuti meno, e quella disponibilità dell'intero paese c'è ancora - avverte -. Se fino a oggi non se n'è fatto niente è solo perché la proposta dei gavoesi non è stata raccolta. Da parte degli investigatori è mancata l'organizzazione».
CAMPIONI A TAPPETO È quel che ripetono tutti. È ciò che pensano i vecchi che ieri mattina giocavano a carte nei bar di via Roma; le signore che facevano la spesa al market e dal fruttivendolo; i giovani artigiani impegnati nel loro laboratorio e i commercianti che presidiavano il negozio. «Lo farei subito anche io, il tampone di saliva - dice Luigia Demaio, 31 anni, pugliese che da quasi due lustri risiede in paese -. Ma sul perché finora i gavoesi non hanno messo a disposizione il loro dna, riesco a darmi una spiegazione. Nei giorni e nelle settimane successive al delitto c'erano tante pattuglie che facevano posti di blocco e test del palloncino. Qui si era tutti tranquilli. Eravamo convinti che, con quell'esame, polizia e carabinieri stessero raccogliendo campioni di saliva per l'inchiesta sul delitto».
LE INDAGINI Figurarsi. La comparazione di un profilo genetico con un campione prelevato sul luogo di un delitto, segue precise regole diventate ancor più rigorose dopo la stretta data nel 2009 dal Garante della privacy riguardo la messa in sicurezza della banca dati nazionale del Ris. In questo archivio informatico sono custoditi (a tempo indeterminato) gli estratti di dna dei pregiudicati e i profili genetici di tutte le persone che per un qualunque motivo sono passate su una scena del crimine. I test di comparazione sui reperti dell'archivio informatico vanno fatti sempre seguendo le disposizioni del giudice. Nel caso in cui un cittadino decida spontaneamente di fare il tampone di saliva, deve prima firmare una dichiarazione di volontarietà.
LE COMPARAZIONI Finora, nell'ambito dell'inchiesta sull'omicidio di Dina Dore, i biologi della Polizia di Stato e dei Carabinieri hanno fatto ben 700 esami di comparazione tra il dna di altrettanti pregiudicati barbaricini (custoditi nella banca dati nazionale) e il campione di saliva (in realtà riconducibile a due persone diverse) rinvenuto sul lembo di scotch che avvolgeva il corpo della vittima. Tutti test con esito negativo.
TUTTI IN FILA A Gavoi sono pronti a mettersi in fila. «Se è utile per le indagini, perché no?», sintetizza al telefono il sindaco Nanni Porcu, avvocato, che ieri mattina era fuori per lavoro. «Io mi metto a disposizione, ma - avverte Luigi Lavra, 75 anni, pensionato - dovrebbero venire loro a farci i tamponi». È già in fila anche Giorgio Lai, 58 anni, ex finanziere, socio fondatore dell'Arci (oggi Prociv-Arci) che da più di due lustri organizza il Festival del cinema italiano.
LA VERITÀ «Sono pronto. Di fronte alla ricerca della verità - sottolinea - dico sì. Ma dicono sì anche i miei compaesani. Ricordo bene quei giorni in cui manifestammo tutti la nostra disponibilità. Gli investigatori avrebbero dovuto cogliere al volo l'occasione e convocarci. Invece, niente». L'esercito dei volontari è pronto. E nessuno, avvertono a Gavoi, parli di omertà. «A me sembra che, quando un'indagine non arriva a niente, gli inquirenti si creino un po' l'alibi - puntualizza Giorgio Lai -. Se un cittadino non parla, non sempre significa che non vuole collaborare. Alle volte può capitare che davvero non abbia visto». La verità è che sono passati quattro anni. «E ancora le indagini sono al punto di partenza - sottolinea Graziella Mereu -. Tutti, qui in paese, vogliamo la verità. Vogliamo che Dina, finalmente, riposi in pace».

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